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Monti ci costa 1,3 miliardi per i trucchi sulla lira

La prescrizione anticipata della lira decisa dal governo Monti è illegittima. Lo ha deciso la Corte Costituzionale che ha bocciato il provvedimento con cui nel 2011, in deroga alla legge del 2002, si stabilì con decorrenza immediata la prescrizione anticipata delle lire a favore delle casse dello Stato per ridurre il debito pubblico. La fine anticipata e immediata della nostra vecchia moneta portò nelle casse dello Stato un miliardo e 300 milioni di euro, pari ai 2.500 miliardi di lire che alla fine del 2011 divennero carta straccia nel pieno rispetto della legalità. Almeno in apparenza. Ieri il «gioco di prestigio» montiano è stato dichiarato fuori legge.

La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata nell'aprile dell'anno scorso dal Tribunale di Milano (sezione specializzata in materia di impresa) nel corso di un giudizio promosso da alcuni risparmiatori che avevano chiesto la condanna della Banca d'Italia al pagamento del controvalore delle banconote in lire in loro possesso, pari alla somma complessiva di 27.543,67 euro, oltre al risarcimento dei danni. I ricorrenti avevano più volte tentato di convertire le lire in euro presso varie filiali della Banca d'Italia, ma inutilmente. Dopo l'arrivo dell'euro, infatti, una legge del 2002 aveva previsto che le lire aventi corso legale sarebbero state cambiate in euro fino al 28 febbraio 2012. Ma il decreto-legge 201 del 6 dicembre 2011, varato dal governo presieduto da Mario Monti e poi convertito in legge, stabilì che le lire ancora in circolazione si prescrivessero a favore dell'Erario «con decorrenza immediata» e che «il relativo controvalore» venisse versato «all'entrata del bilancio dello Stato per essere assegnato al fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato».

Insomma, l'esecutivo dei sobri professori trasformò le lire in souvenir, in beni senza alcun valore da tramandare con nostalgia di generazione in generazione. «Nemmeno la sopravvenienza dell'interesse dello Stato alla riduzione del debito pubblico - specifica la Corte costituzionale nella sua sentenza - può costituire adeguata giustificazione di un intervento così radicale», che «estingue ex abrupto» un diritto.

Anche perché il governo e il parlamento, scrive la Consulta, non hanno «operato alcun bilanciamento fra l'interesse pubblico perseguito dal legislatore e il grave sacrificio imposto ai possessori di banconote in lire».

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