Cronaca internazionale

Moore, il guru della Silicon Valley che predisse il nostro presente

Co-fondatore di Intel, era uno dei giganti dell'informatica. Anticipò lo sviluppo dei pc. "Il mondo perde un visionario"

Moore, il guru della Silicon Valley che predisse il nostro presente

Washington. Nel 1965, all'epoca in cui coniò la sua famosa legge, la «Legge di Moore», i computer non erano ancora «personal». Piuttosto, degli enormi scatoloni di metallo, spesso contenuti in stanze asettiche, circondati da tecnici in camice bianco. Gordon Earle Moore, intervistato da Elecronics Magazine, predisse che il numero di transistor che potevano essere incastonati su un chip di silicio sarebbe raddoppiato a intervalli regolari, per un tempo indefinito, aumentando così esponenzialmente la capacità di calcolo dei computer. Due i corollari della Legge: la tecnologia in continua evoluzione avrebbe reso la produzione dei computer sempre più costosa, ma la loro diffusione di massa li avrebbe a sua volta resi accessibili alle tasche di chiunque.

A Moore, scomparso venerdì nella sua residenza alla Hawaii a 94 anni, si deve non solo la Legge che porta il suo nome e che per decenni è stata il fondamento dell'industria Hi Tech, tenuta in considerazione nella pianificazione di ogni azienda del settore, dalle multinazionali già affermate alle start up che nascevano nei garage della California. A questo scienziato e imprenditore per caso, alla sua visione, si deve la nascita stessa dell'industria dei semiconduttori e dei semiprocessori, così come la conosciamo oggi, e creazione della Silicon Valley, ancora il più formidabile serbatoio e volano tecnologico-industriale degli Stati Uniti. Nato nel 1929 a San Francisco, figlio di uno sceriffo di contea, nel 1954 ottenne un dottorato in chimica al California Institute of Technology. Nel 1954 entrò alla Shockley Semiconductor, l'azienda fondata da William Shockley, l'inventore del transistor, che puntava alla realizzazione di chip a buon mercato. Scontento della gestione aziendale di Shockley, Moore nel 1957 si unì a Robert Noyce, altro genio della nascente industria dei semiconduttori. Insieme ad altri sei colleghi, con un investimento di 500 dollari a testa e 1,3 milioni di dollari di finanziamento del pioniere dell'aeronautica Sherman Fairchild, fondò la Fairchild Semiconductor Corporation, azienda pioniera nella produzione di circuiti integrati. Nel 1968, lui e Noyce decisero che era giunto il momento di lanciare la propria impresa, la NM Electronics, che poi divenne la Intel Corporation. «Avevamo un business plan molto vago. Diceva solo che volevamo lavorare con il silicio», ricordava Moore nel 1994. Per quanto vago fosse il loro progetto, lui e Noyce non faticarono a trovare i finanziamenti per fare della Intel la più grande azienda del settore. È grazie ai chip di Intel, prima ancora che alla visione di Bill Gates o a quella di Steve Jobs, che i computer, a partire dagli anni '80, sono entrati nelle case di miliardi di persone e che il mondo ha potuto compiere la rivoluzione digitale. A 72 anni lasciò il consiglio di amministrazione per raggiunti limiti di età, ma è rimasto fino all'ultimo presidente onorario della sua azienda. La «Legge di Moore» sta giungendo alla sua conclusione naturale, non perché superata da una nuova scoperta, ma semplicemente perché gli ingegneri non sono più in grado di sviluppare chip con transitor sempre più piccoli e numerosi.

Al suo posto, la «Legge di Neven», coniata da Hartmut Neven, il direttore del Google Quantum Artificial Intelligence Lab, che lancia l'industria Hi Tech nel mondo ancora inesplorato dei computer quantistici.

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