Morto il vignettista Vincino: trafisse la sinistra da sinistra

Esordì a Lotta continua e fondò "Il male". Approdato al Foglio denunciò: "I miei amici non mi salutano più"

Morto il vignettista Vincino: trafisse la sinistra da sinistra

«Non c'è nessuna fine. Solo un quotidiano e faticoso (continua)». Così Vincino, in una vignetta delle sue, leggera, svolazzante, di sicura incertezza, chiudeva quaranta giorni fa l'anticipazione della sua autobiografia «Mi chiamavano Togliatti». E ha continuato, Vincenzo Gallo (il suo vero nome), almeno fino a ieri, quando la malattia con cui conviveva da tempo se l'è portato via a 72 anni. Era nato a Palermo il 30 maggio del 1946 e aveva iniziato la sua carriera con il '68, avvicinandosi a Lotta Continua e poi cominciando a disegnare per i giornali. Prima sull'Ora, nella sua città, in Sicilia, per poi trasferirsi a Roma.

Nella capitale Vincino lavora per il quotidiano di Lotta Continua, ma soprattutto, nel 1977, fonda Il Male, indimenticabile e irriverente rivista satirica, insieme a Pino Zac e all'amico Vauro Senesi. Lo dirige anche, dal terzo numero alla chiusura, a inizio anni '80, e lo rifonderà, Il Male, insieme a Vauro, nel 2011, per una breve seconda vita.

In mezzo c'è tanto: le liti in tribuna stampa a Montecitorio dove pretendeva di poter fare vignette contro il parere della Iotti, poi Linus, Tango, Ottovolante, il Clandestino e Cuore. E poi Corriere della Sera, ma anche Sabato, Vanity Fair, e soprattutto il Foglio, con cui inizia una lunga collaborazione che porterà molti amici di sinistra a guardarlo storto o a voltargli le spalle. Lui stesso, sul punto, disse che «la sinistra ha una capacità censoria enorme. Se diventi una voce discordante, subito ti si fa il vuoto intorno. Ti cacciano. Gli amici non ti salutano. Sei un traditore, uno schifoso, un pezzo di merda, uno stronzo».

Il rapporto col Foglio però, per quando gli sia costato, è rimasto sempre forte, sempre solido, e ieri il quotidiano lo ha pianto ricordandolo così: «Vincino era al Foglio da quando il quotidiano è nato, ventidue anni fa. Ha disegnato per noi fino all'ultimo giorno».

A salutare l'amico e il collaboratore è stato il fondatore del quotidiano, Giuliano Ferrara, che a luglio, proprio per l'uscita di «Mi chiamavano Togliatti», aveva raccontato Vincino alla sua maniera, con un ritratto toccante, definendolo un «populista antisistema», sì, ma uno «che si è informato». «Il cialtrone sofisticato - scriveva Ferrara - è stato al Foglio la nostra speranza, il nostro specchio, la nostra risorsa d'acqua e di alcol e di fumo».

Sempre libero, sempre dissacrante, anche nel quotidiano diretto da Ferrara prima e da Claudio Cerasa poi, Vincino ha disegnato quello che voleva. Prendendosi beffe pure dell'Elefantino e della sua svolta antiabortista, o collaborando - in modo spesso non ortodosso - alle campagne del Foglio, non sempre condivise ma a suo modo partecipate, vignetta dopo vignetta.

Vauro, ieri, lo ha salutato malinconico: «Hai disegnato i grandi mostri della politica italiana... e mi hai lasciato solo con i mostriciattoli! Ciao Vincino amico mio!». Anche la politica, che lui ha sempre preso di mira senza riguardi per niente e nessuno, ora lo piange. Tutti, da Gentiloni ai grillini, da Mussolini alla Gelmini, dai centristi a Forza Italia.

Il vicecapogruppo azzurro alla Camera, Simone Baldelli, gli dedica pure una vignetta su twitter, con l'ultimo saluto a un «genio» e a un «maestro»: «Ciao Vincenzo, genio del Male e di tanto altro ancora. Maestro e amico. Grazie di tutto». Vincino lascia la moglie, Giovanna, e due figlie, Costanza e Caterina. E lascia infinite vignette. Frutto del quotidiano e faticoso (continua).

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