«Riportare i migranti in Libia significa riconsegnarli nelle mani dei loro aguzzini». Stefano Argenziano, coordinatore del settore migrazioni di Medici senza frontiere, non ha alcun dubbio. E chiarisce che è questo alla base della loro decisione di sospendere l'attività di soccorso nel Mediterraneo.
Che cosa sta accadendo?
«Msf ha sospeso le operazioni della Prudence per un periodo indeterminato di tempo. La nave è attualmente ormeggiata nel porto di Catania. Abbiamo anche una collaborazione con Sos Mediterranee, che gestisce la nave Aquarius. Al momento in cui la decisione è stata presa era ancora in acque internazionali. Forniamo loro un supporto tecnico e per adesso le discussioni sul da farsi sono in corso».
Che c'è dietro a questa decisione?
«La volontà di Msf di non stare con il meccanismo in corso che ha l'ambizione di bloccare in Libia, in maniera arbitraria e pericolosa per le vite umane, migliaia di migranti. La nostra preoccupazione è legata alla decisione delle autorità libiche di istituire una zona Sar al cui interno l'autorità libica sarebbe di fatto autorizzata a effettuare respingimenti dalle acque internazionali, cosa che, francamente, è illegale. Vogliamo, infatti, che venga ristabilita la sovranità del diritto internazionale e il rispetto della legge sui rifugiati».
Che cosa chiedete?
«La nostra richiesta, dal 2015, è sempre stata coerente e univoca: che l'Europa e l'Italia si facciano carico della questione della migrazione in modo organico e vengano stabilite delle regole e dei canali legali che sono la sola soluzione per tagliare le gambe ai trafficanti internazionali. L'Italia non chiede più dove è l'Europa su questo e dove sono le promesse e gli accordi da parte europea per quel che riguarda i programmi di rilocation e sembra, invece, scatenarsi in una campagna mediatica diffamatoria e discriminatoria nei confronti dei più deboli e di chi porta un'assistenza umanitaria. Questo ci preoccupa».
Come giudica il Codice di condotta per le Ong stilato dal Viminale?
«Non firmeremo perché riteniamo sia un elemento di distrazione nel quadro più totale. Vogliamo portare l'attenzione su quello che avviene nel Mediterraneo, al fatto che è in atto un'emergenza umanitaria che provoca morti di numero comparabile a un conflitto di media intensità. È illusorio pensare di risolvere il problema sulle spiagge libiche. Quando i migranti arrivano là si è già andati troppo oltre. Il problema è che la Libia è oggi una prigione a cielo aperto, un inferno e non può essere in nessun modo essere considerata l'elemento di soluzione».
Dove finiscono i migranti rispediti indietro?
«Lo sappiamo perfettamente. Abbiamo ancora un'attività in Libia e riusciamo ad avere accesso a dei centri di detenzione per migranti dove cerchiamo di portare assistenza a chi è intrappolato e ciò che noi testimoniamo è una storia di quotidiano abuso e violenza. Per noi l'accordo con la Libia è un accordo con il demonio. Si tratta di restituire ai propri torturatori coloro i quali sono stati torturati e stanno cercando di sfuggire».
Parla di centri di detenzione?
«In Libia non esistono dei centri per migranti ordinati e puliti dove i diritti umani vengono rispettati. Abbiamo delle condizioni aberranti, dove la detenzione è arbitraria e non si può in nessuna maniera pensare che il ritorno degli immigrati intercettati dai guardiacoste con l'aiuto della Marina Italiana possa avvenire in luoghi che non possono essere chiamati campi di accoglienza. Anche gli organismi internazionali si sono espressi in modo chiaro: non ci sono campi di accoglienza per migranti, ma strutture che assomigliano piuttosto a dei lager di contenimento».
Le Ong sono state accusate di trattare con i trafficanti e di aver contribuito ad aumentare il numero delle partenze. Che ne pensa?
«È un'accusa grave e credo che la Procura di Trapani abbia tutte le capacità di cercare di fare chiarezza. Abbiamo fiducia nella giustizia e, in modo trasparente, abbiamo offerto la nostra disponibilità a collaborare. Per il resto, dati alla mano, il numero dei migranti è aumentato in maniera esponenziale quando le Ong non erano ancora presenti e l'operazione Mare Nostrum era terminata, nel 2014. Il vero incremento, del 250 per cento, si registra tra Marocco e Spagna».
A che condizione riprenderete la vostra attività nel Mediterraneo?
«Una volta che avremo avuto le garanzie del rispetto della legalità internazionale da
parte degli attori coinvolti. La Libia non è un posto sicuro. Gli sbarchi devono avvenire dove la legittima domanda d'asilo dei migranti possa essere presa in carico e dove possano essere garantiti i loro diritti umani».
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