Muri, tweet e cani pazzi: dalla A alla Zeta un mese secondo Trump

Eletto 30 giorni fa non ha smesso di far discutere. Le sfide del tycoon tra politica e (poca) diplomazia

Muri, tweet e cani pazzi: dalla A alla Zeta un mese secondo Trump

Un mese da presidente senza esserlo. Trenta giorni esatti dopo l'elezione Donald Trump non ha mai smesso di far parlare di sé. Per questo abbiamo radunato il vocabolario (semiserio) dei suoi primi passi da Commander in Chief, i pensieri e le parole in attesa delle opere. E il cammino è ancora lungo.

Apprentice. Una X Factor per selezionare il governo, con candidati pesati e votati, non s'era mai visto. Vige anche in questo caso il protocollo Manuel Agnelli. Spietato.

Barack. «Obama è una gran brava persona» ha detto nel faccia a faccia alla Casa Bianca. Però ha messo Tom Price, nemico dell'Obamacare, alla Sanità. Uno che ha salute da vendere...

Contratto. Il Contratto con gli americani (made in Silvio) ha 18 punti: promette via clandestini e Tpp, basta corruzione, legge dura senza paura e posti di lavoro agli americani. Tutto in 100 giorni, minuto più, minuto meno.

De Niro. Voleva prenderlo a pugni «ma ora è il presidente non posso più» e autoesiliarsi in Molise. Non lo farà, peccato. Si poteva dire di lui: c'era una volta in America...

Emigrati. A Cincinnati ha ribadito il concetto: «Se non sappiamo chi sono, da dove vengono e cosa pensano li terremo fuori dal Paese». Come dice Mourinho: più chiaro di così...

Fidel. «È stato un dittatore brutale che ha oppresso il suo popolo per quasi sei decenni». Morale: «Faremo di tutto per restituire al popolo cubano prosperità e la libertà». Compreso cancellare l'accordo «di pace» firmato da Obama. Troppo castrante.

Giuliani. L'eroe dell'11 settembre, il sindaco della tolleranza zero, è in pole come Segretario di Stato. L'Amaro dopo il Kerry.

Hillary. «Hillary non deve soffrire» pare tanto «Misery non deve morire». «Non voglio far male ai Clinton, Hillary ne ha passate tante». Quindi niente inchiesta. La galera sarà stare a casa con Bill.

Isis. «La nostra missione è combattere l'Isis non cacciare Assad». Anche perché combattere Assad vuol dire combattere l'amico Putin. E Guantanamo non chiude: «Lo riempiremo di tipi cattivi».

Juncker. Il presidente della Commissione europea ha sibilato stizzito: «Con Trump perderemo due anni: il tempo che faccia il giro del mondo che non conosce». E Juncker che non conosce Trump...

Kkk. Il Ku Klux Klan ha festeggiato nel Massachusets la vittoria di Trump. «Il nostro supporto è stato enorme» dicono. E vabbè, esagerati. Che razza di imbroglioni.

Limiti. Per il Financial Times Trump sta studiando limiti e sanzioni da imporre all'Iran che non violino l'accordo sul nucleare, che Trump giudica comunque una minaccia per la sicurezza mondiale. Teheran infuriata. L'Iran di Dio.

Muro. Nel programma dei primi 100 giorni non c'è. Ma nel Thank you Tour ha ribadito: «Avremo un grande muro al confine». Messico e nuvole.

Not my president. Decine di cortei, centinaia di arresti, migliaia di girotondini in piazza. E lui: «Amo il fatto che chi protesta mostri passione per il nostro Paese». Ma anche «se Hillary avesse vinto e fossero i miei fan a protestare per strada sarebbero linciati».

Orto. L'orto piantato da Michelle alla Casa Bianca, simbolo della lotta contro l'obesità, sopravviverà anche all'idea di sostituirlo con un campo da golf. Melania infatti non abiterà in Pennsylvania Avenue. Occuparsi dell'orto per lei vorrebbe dire essere alla frutta.

Pentagono. Trump ci manderà l'ex generale dei marines James Mattis, detto «Cane Pazzo». Non ha mai comprato un televisore. Per questo è una garanzia.

Quattro miliardi. Il costo dei due nuovi Air Force One appena ordinati. «È ridicolo - ha twittato Trump - Noi vogliamo che la Boeing faccia un sacco di quattrini, ma non così tanti...». Se lo dice lui...

Rivoluzione. La rivoluzione della politica commerciale «romperà con le ali globaliste sia di repubblicani sia di democratici rigettando decenni di politiche commerciali concilianti». Un vai senza dai.

Stipendio. Rinuncerà ai 400mila dollari l'anno che spettano al presidente. «Prenderò un dollaro l'anno come dice la legge». Ha lasciato gli affari e venduto le azioni. Sarà un incarico da quattro soldi.

Taiwan. Ha telefonato al presidente di Taiwan Tsai Yng-wen dopo da 37 anni scatenando dure proteste dalla Cina. Con furore.

Uniti. Ha scritto in un tweet: «Nessuno sarà dimenticato: siamo un Paese diviso, ma non lo resteremo a lungo. Per vincere c'è bisogno di tutti gli americani, senza distinzione di razza, età, reddito, geografia: ora è tempo di unirsi». State Uniti.

Vestiti. Da Sophie Theallet a Tom Ford, da Marc Jacobs a Humberto Leon hanno dichiarato stizzosi che non vestiranno la first lady Melania «simbolo di razzismo, sessismo e xenofobia». Diane Von Furstenberg, signora della moda americana, li ha bacchettati: «Noi dobbiamo promuovere la bellezza non far politica».

White House. Ha deciso a malincuore che vivrà alla Casa Bianca. Che per lui è come trasferirsi dai Parioli a Torpignattara.

Yesahul. È il grado che equivale a quello di capitano con cui i cosacchi russi hanno nominato Trump membro onorario. Putin sarà contento. Sono i primi cosacchi del Don(ald).

Zamparini.

Fondamentale per i destini dell'America l'endorsement del presidente del Palermo Maurizio Zamparini: «Fossi stato americano avrei votato per Trump. Spero mandi al diavolo Wall street». Forse pensava fosse un allenatore straniero...

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