Navi sequestrate e legami con gli scafisti. Così le Ong operano al di sopra della legge

I taxi dei migranti fanno quello che vogliono: entrano in acque libiche, scelgono il porto di sbarco e trattano coi trafficanti. Senza pagare mai

Navi sequestrate e legami con gli scafisti. Così le Ong operano al di sopra della legge

Ormai è chiaro che le Ong stanno al di sopra della legge e ci sono sempre state. Entrano in acque Sar libiche, riconosciute dagli organismi internazionali e di competenza della Guardia costiera di Tripoli, effettuano trasbordi fingendo di far salire a bordo naufraghi, ordinando agli scafisti di fermare il motore per dar luogo all'evento di soccorso, poi si dirigono verso le coste italiane, cercando in ogni modo di imporre lo sbarco. Anche quando al Viminale come ministro c'è uno come Matteo Salvini che con i suoi Decreti sicurezza cerca di difendere i confini nazionali. Cambiano i governi e la storiella continua a essere la stessa. I rappresentanti delle Organizzazioni non governative vengono ricevuti dal ministro dell'Interno, tentano di far passare la loro linea perché, qualcuno spiega, «i poveri migranti scappano da guerre e torture e si devono sempre salvare, soprattutto dal rischio di finire morti in mare». Proseguono col raccontare la favoletta del buon samaritano, ignorando che sono proprio loro a fare da pull factor per le imbarcazioni che prendono il largo. E quando un barcone si rovescia è sempre colpa di Salvini e del centrodestra «insensible e razzista».

Denunciano ancora il leader della Lega, come fa Carola Rackete, si costituiscono parte civile ai processi politici contro il Capitano, che vedono come la panacea di tutti i mali. Ma quando le procure di Ragusa e Trapani aprono inchieste su una o più Ong, apriti cielo. L'armata Brancaleone della sinistra leva gli scudi in loro difesa. Guai a dire che favoriscono l'immigrazione clandestina. Così Mediterranea, che ha la Mar Jonio bloccata in porto a Venezia, sotto sequestro (confermato proprio a marzo dalla Procura di Ragusa) e con una diffida a tornare in mare, nonostante abbia armatori e personale di bordo indagati, annuncia che a giugno tornerà a fare soccorsi. Se non ci fosse un comunicato ufficiale sarebbe da non crederci. E da chiedersi è se in questo caso l'infrangere la legge scatenerà l'ira dei giudici. Sull'inchiesta di Trapani il gioco è ancor più sottile, perché gli avvocati delle Ong tacciono. Però qualcuno fa uscire la notizia delle intercettazioni di alcuni giornalisti. Così l'attenzione dal reato di favoreggiamento all'immigrazione clandestina, confermato dagli inquirenti che hanno le prove dei contatti con gli scafisti, passa su chi indaga e il ministro della Giustizia, Marta Cartabia, apre un'inchiesta.

C'è da scommettere che, nonostante la gravità dei fatti, riusciranno a non farsi rinviare a giudizio, mandando a monte 4 anni di indagini accurate da parte dello Sco della Polizia e della Guardia costiera. Poi arriva Sea Eye 4, che dopo aver circumnavigato la Sicilia invogliata dal sindaco di Palermo Leoluca Orlando, paladino dell'accoglienza, poi viene dirottata su Pozzallo, dove il personale di bordo ha il coraggio di parlare di «insulti razzisti» e di denunciare ritardi nello sbarco. Per loro l'aver tenuto giorni e giorni i migranti in balìa del mare, però, non costituirà certamente sequestro di persona.

Per fortuna che c'è chi, come una chiesa evangelica luterana di Celle, in Germania, vista una foto che immortala una bandiera antifascista a bordo della Sea Watch 4, ha deciso di non finanziare più la Ong, perché le donazioni non si danno a chi «è troppo politicizzato». Ma loro di questo non si preoccuperanno. Tanto a finanziare i taxi del mare ci pensano già George Soros e i radical chic italiani.

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