Roma Ed ecco a voi l'altro Matteo, «un geniale uomo comune che potrebbe diventare il primo leader di estrema destra dal 1945». Il Washington Post lo ha incoronato ma il Quirinale lo ha già detronizzato. Il presidente «non ha pregiudizi» e non vuole andare contro la volontà popolare. Però i numeri sono numeri e al momento non ci sono. Quindi, questo filtra dal palazzo, per riuscire a trovare una maggioranza, oltre a un periodo di decantazione, servirà che i protagonisti facciano uno sforzo di realismo, un sacrificio. Insomma, se si vuole che nasca un governo di centrodestra, Salvini deve fare un passo indietro. Non è un diktat, spiegano, ma una presa d'atto della realtà. Del resto la stessa speculare precondizione vale pure per l'altro aspirante, Luigi Di Maio: se si apre una trattativa, bisogna essere disposti a concedere qualcosa. Forse troppo.
Il piano B di Mattarella non passa dunque dal capo della Lega che, a tre giorni dalla vittoria, sembra ormai rassegnato. «All'orizzonte vedo un accordo tra Pd e Cinque Stelle». Magari non andrà così, la partita è ancora da giocare e ci sono troppe variabili da calcolare. Però per «l'altro Matteo» Palazzo Chigi si sta allontanando. I due candidati dovrebbero quindi lasciare spazio a personaggi più neutrali e sbiaditi. Se si va caccia di voti del Pd, è difficile ottenerli con Salvini o Di Maio premier. Ma loro, i due vincitori delle elezioni, saranno disposti al passo indietro?
Il capo dello Stato lascerà tutto il tempo alle forze politiche per chiarirsi e spera che nel mesetto che manca alle consultazioni possa ripartire il dialogo. Intanto a Palazzo Chigi Paolo Gentiloni garantisce la «continuità istituzionale»: nelle prossime settimane, quando la legislatura si avvierà ufficialmente, il premier dovrà dimettersi e salire sul Colle: avrà un mandato per gli affari correnti. Il 23 si insedierà il nuovo Parlamento e partirà l'iter per la nomina dei presidenti delle Camere, un passaggio complesso ma che potrebbe aprire degli spiragli. E quando, dopo Pasqua, Mattarella riceverà i gruppi, vorrà indicazioni precise su accordi e possibili maggioranze. Poi, se vedrà dei margini, potrebbe conferire un incarico esplorativo che avrà il compito di sondare, mediare e tornare a riferire. A questo punto il capo della Stato potrebbe fare un secondo giro di consultazioni.
Se non funzionerà, c'è sempre la carta del governo di scopo con tutti dentro, un esecutivo a tempo guidato da una personalità neutrale che dovrà gestire i conti pubblici e cambiare la legge elettorale: al Quirinale stanno già cercando il nome tra le riserve della Repubblica. Ultima spiaggia, il ritorno al voto.
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