Elezioni politiche 2022

"Il nome dell'Italia lì dentro non c'è". Il nuovo dossier sui soldi di Mosca puzza di bruciato

E due. Nella campagna elettorale per il nuovo Parlamento fa irruzione di nuovo un dossier-patacca attribuito ai servizi segreti

"Il nome dell'Italia lì dentro non c'è". Il nuovo dossier sui soldi di Mosca puzza di bruciato

E due. Nella campagna elettorale per il nuovo Parlamento fa irruzione di nuovo un dossier-patacca attribuito ai servizi segreti. Prima dell'estate era toccato all'intelligence italiana vedersi attribuita la paternità di un rapporto che indicava il governo di Mosca quale mandante del ritiro dei ministri leghisti dal governo Draghi, e al sottosegretario ai servizi Franco Gabrielli era toccato disconoscere il documento. Dopodomani Gabrielli dovrà tornare al Copasir e rispondere alle domande su un altro pseudodossier: che stavolta verrebbe dagli 007 americani, e parlerebbe degli aiuti del governo di Mosca (sempre lui) a una serie di partiti occidentali.

Quel che Gabrielli andrà a dire al Copasir, il comitato parlamentare di controllo dei servizi segreti, è già abbastanza noto, anticipato da fonti interne ai servizi medesimi: quel rapporto per la nostra intelligence non esiste, nessun servizio alleato lo ha mai trasmesso, nè ha mai fatto sapere che tra i destinatari degli aiuti del Cremlino ci siano anche partiti italiani. É una precisazione importante, perchè sembra smontare il castello di accuse e di ipotesi che appena il dossier è finito sui giornali ha agitato la scena politica: con la Lega e Fratelli d'Italia indicati più o meno velatamente di essere tra i destinatari degli aiuti moscoviti; il tutto condito ieri da indignate richieste di approfondimento da parte del centrosinistra, che vanno dall'invito (firmato dai Verdi) alla Procura di Roma per l'apertura immediata di una indagine penale per arrivare al varo di una commissione d'inchiesta invocato dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

Fin dal primo mattino sia il leader leghista Matteo Salvini che una schiera di esponenti di Fratelli d'Italia liquidano come infondata qualunque accusa di finanziamenti dall'Est. Giulio Terzi di Sant'Agata, candidato di FdI e ex ambasciatore a Washington, attacca frontalmente il suo amico Kurt Volker, già ambasciatore Usa alla Nato, chiedendogli conto dell'intervista a Repubblica in cui dice che «non ho prove dirette personali ma è un ritornello costante che c'è stata qualche assistenza a Fratelli d'Italia». «Vorrei pregarti - scrive Terzi - di chiarirmi su quali fatti e circostanze concrete si basino le insinuazioni riportate da La Repubblica, se effettivamente corrispondono alle tue parole». In serata, Volker smentisce di avere mai detto quelle cose. Ma ormai il circo delle polemiche elettorali è partito. Quando dall'America arriva attraverso il presidente del Copasir Adolfo Urso la notizia che il nome dell'Italia nel dossier non c'è, neanche la smentita è sufficiente a chiudere il caso.

In realtà, parallelamente, di caso se ne apre anche un altro, e più sostanzioso. Perchè se le manovre russe intorno alle elezioni italiane sono (passaggi di rubli a parte) del tutto verosimili, la «rivelazione» del dossier americano è la prova provata che anche negli Usa c'è chi sta cercando di influenzare l'esito del voto del 25 settembre. La diffusione della notizia sui finanziamenti di Mosca in venti imprecisati paesi verrebbe, secondo i sospetti che circolano in queste ore a Roma, da ambienti a stelle e strisce che si considerano più tutelati dalla permanenza a Palazzo Chigi del Pd, e magari da una continuità della premiership di Draghi. Per fare esplodere il caso in Italia sarebbe stata utilizzata una velina interna e già in parte nota, dove in realtà i destinatari degli aiuti russi erano indicati chiaramente. Soldi di Mosca per esempio sarebbero andati all'esponente serbo della presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina, Milorad Dodik, e alla coalizione montenegrina Fronte democratico; secondo il Washington Post nell'elenco dei paesi ci sarebbero anche l'Albania, il Madagascar e «potenzialmente» l'Ecuador. Come si vede, l'Italia non è citata. Ma stare sul vago avrebbe consentito ai diffusori dello «scoop» di offrire comunque un argomento agli amici in Italia dell'attuale governo di Washington. Anche questa ingerenza nelle elezioni italiane finirà, inevitabilmente, tra le domande che Franco Gabrielli si sentirà rivolgere venerdì mattina nell'audizione al Copasir.

Il sottosegretario sa di essere alla fine del suo mandato, e non ha nessuna voglia di essere trascinato e usato in una polemica politica dove ai nostri servizi segreti si pretende di lanciare allarmi di cui non hanno in realtà avuto sentore.

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