Cronache

Stop alle ricerche in mare: guerra governo-petrolieri

Una norma sui reati ambientali limita l'attività dei colossi energetici: posti di lavoro a rischio

Stop alle ricerche in mare: guerra governo-petrolieri

Roma - In queste ore i telefoni di palazzo Chigi e del ministero dello Sviluppo economico stanno squillando senza sosta. E su alcune scrivanie sono già atterrate lettere dai toni a dir poco «nervosi». Il fatto è che le compagnie petrolifere sono andate su tutte le furie per quello che è successo qualche giorno fa in occasione dell'approvazione al Senato del disegno di legge sui reati ambientali. Una piccola norma che ha scatenato le ire in primis dell'Eni, che tra l'altro è partecipata dal ministero dell'Economia per il tramite della Cassa depositi e prestiti, ma anche di colossi internazionali che hanno in Italia progetti di investimento come i francesi di Total ed Edison. Per non parlare di una nutrita pattuglia di società energetiche canadesi e irlandesi, su tutte Cygam e Petroceltic, titolari di numerosi permessi di ricerca di idrocarburi al largo delle coste italiane. Ma perché tanta fibrillazione? Una norma del ddl, votata dalla maggioranza di palazzo Madama nonostante la contrarietà del governo, in pratica introduce la reclusione da 1 a 3 anni per chi effettua l'ispezione dei fondali marini, allo scopo di trovare gas e oro nero, con la tecnica dell' airgun . Ed ecco la parolina magica. Si tratta di una tecnica che attraverso un sistema ad aria compressa genera un'onda acustica. Queste onde, riflesse dagli strati del sottosuolo, ritornano in superficie e sono captate da alcuni congegni che alla fine del procedimento permettono di capire se in quell'area ci sono giacimenti da esplorare. Inutile nascondersi che su questa tecnica, in particolare sul suo utilizzo a volte troppo disinvolto, si sono concentrate anche legittimamente numerose proteste ambientaliste. Il fatto certo, probabilmente sfuggito ai radar, è che se si controllano gli elenchi dei permessi accordati o delle istanze di ricerca di idrocarburi depositati presso il ministero dello Sviluppo (Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche) o presso il ministero dell'Ambiente, ci si rende conto che tutti prevedono un'esplorazione dei fondali marini attraverso l'uso dell' airgun . Parliamo di vastissime aree nel canale di Sicilia, nello Ionio (tra Calabria, Basilicata e Puglia) e nell'Adriatico. Insomma, tutte queste attività rischierebbero di finire fuori legge. Scenario da fumo negli occhi, per i big degli idrocarburi, favorito dal mercato incontrollabile degli emendamenti che fino a notte fonda anima i corridoi del Parlamento. Ma favorito anche da un esecutivo che non è stato in grado di monitorare e presidiare la situazione. Soltanto che stavolta la lobby del petrolio non l'ha proprio mandata giù. E ha intenzione di far presente a Matteo Renzi, Federica Guidi e ai relativi entourage che se alla Camera la norma non sparisce potrebbero correre qualche rischio le migliaia di posti di lavoro promessi da alcuni colossi energetici che hanno progetti di investimento nel Paese. Eppure il governo stesso nel corso dell'esame parlamentare aveva dato parere contrario a tutta una serie di emendamenti dai quali poi è scaturita la norma. Ma alla fine non è riuscito a evitare un voto favorevole del Senato, dove intorno al discusso passaggio è riuscita a coagularsi la maggioranza. Formalmente è già scesa in campo Assomineraria, l'associazione confindustriale che tra gli altri riunisce anche Eni, Edison, Total, Cygam e Petroceltic.

Di sicuro in queste ore una schiera a dir poco consistente di lobbisti sta andando in pressing sul governo, convinta di avere argomenti più che sufficienti a far cadere una norma che sembra essere sfuggita al controllo di tutti.

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