È la sera in cui il cristallo troppo fragile si è rotto. La notte di Piazza San Carlo. La fine, sia detto senza retorica, della nostra innocenza. Allarmi terroristici, paure, isterie: ministri e, giù a scendere per la piramide dello Stato, prefetti, questori, assessori se l'erano cavata fra prescrizioni rigide e tolleranze fatalistiche, con tanto di dita incrociate. Per carità, bastava andare in piazza San Pietro o in piazza Duomo per vedere e capire: il clima non era più quello spensierato di qualche anno fa. Barriere. Filtri. Militari. Perquisizioni e code. Ma l'Italia delle mille piazze, dei mille salotti e dei mille campanili, quella restava più o meno la stessa di prima. Sagre, manifestazioni. Concerti. C'era la generale convinzione che si, occhi aperti, ma senza esagerare e soprattutto, senza trasformare l'happening di richiamo, ma anche quello del fungo porcino o della finocchiona, in una sorta di parata del 2 giugno.
Dopo la tragedia di piazza San Carlo questa approssimazione da suk, o se si preferisce da strapaese, diventa complicità criminale. E cosi gli standard sono cambiati, l'asticella della sicurezza è salita, tutto si è fatto complicato, difficile, a tratti tortuoso.
Gli steward, come li abbiamo conosciuti negli stadi, ora vengono esportati un po' ovunque, qualche volta sfiorando il ridicolo. Ma c'è quel precedente, quella fiaba nera purtroppo vera che toglie dall'incertezza e dall'inciampo le alte grisaglie dello Stato. Che prima si arrendevano volentieri all'eccezione concordata, alla telefonata importante, alla lobby di turno. Oggi i divieti sono divieti: il tappeto di cocci di bottiglie, risultato di una sciagurata impunità dei venditori abusivi di bevande, è entrato nell'immaginario collettivo. E ora tutti sanno che no, non si può più. Abbiamo voltato pagina. Come per il fumo nei locali pubblici o come per le cinture di sicurezza. E poi ci sono le vie di fuga e tutta la sacrosanta liturgia che accompagna gli eventi, gli assembramenti, le performance. Il Paese, che ha una storia millenaria, tante capitali e una provincia che è uno scrigno, mal tollerava la camicia di forza di regole e regolamenti a passo di metronomo. Ma qualcosa si è rotto in piazza San Carlo e ora è l'opinione pubblica, noi tutti in poche parole, a controllare, a verificare, a pretendere. L'Italia formato festa si attrezza. Sì, è cambiata la sensibilità: le immagini del centro di Torino diventato un ospedale da campo, sono ora nel bagaglio collettivo. E cosi le misure che prima erano un fastidio sono attese come l'optional di un'auto o l'upgrade in un hotel. L'estate, in spiaggia o in città, sarà pure loca, ma un po' di blindatura fa quasi piacere.
E attenua quella bava di ansia che ormai ci portiamo incorporata. Pazienza se i comuni, con i bilanci all'osso, dovranno ridurre programmi e pazienza se qualche proposta fantasiosa andrà, come è già successo, gambe all'aria. Indietro non si torna.
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