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Numeri in aula e programma: la corsa a ostacoli di Conte

Al Senato i giallorossi sono sotto di tre voti. Sinistra e cespugli a caccia di incarichi. Il nodo commissioni

Numeri in aula e programma: la corsa a ostacoli di Conte

Forse già tra qualche giorno l'ineffabile Conte, premier per tutte le stagioni, inizierà a rimpiangere la precedente. Non appena scoprirà quanto è complicato avere a che fare non solo con due partiti, Pd e Cinque Stelle, che sono come cane e gatto, ma anche con la pletora di gruppi e partitini che si affolleranno per portare in dote i loro mazzetti di senatori, che com'è noto tornano sempre utili quando c'è da votare nella Camera alta.

Ovviamente ognuno - dalle correnti Cinque Stelle a quelle del Pd ai partiti minori - vorrà, come è logico, piantare la sua bandierina, scrivere il suo pezzetto di programma, avere il suo ministro o il suo sottosegretario. Leu, il partitino degli scissionisti Pd, ha ad esempio già messo sul tavolo le sue richieste: cancellare le parti incostituzionali del decreto Sicurezza, rilanciare la sanità pubblica, lotta ai cambiamenti climatici eccetera. Il Pd vuole anch'esso metter mano al decreto salviniano, e chiudere in fretta la dispendiosa e dannosissima esperienza di Quota 100. Il reddito di cittadinanza non verrà abolito, ma il Pd vuole modificarlo: «Così com'è non funziona e produce più danni che benefici», ragionano in casa dem. La manovra di fine anno sarà ovviamente il primo banco di prova serio per la neo-maggioranza, e molto ovviamente dipenderà da chi si istallerà al ministero dell'Economia.

Al Senato, Pd e Cinque stelle da soli sono sotto la soglia di maggioranza: 51 i primi, 107 i secondi. La maggioranza è 161, ne mancano quindi tre. Ne arriveranno sicuramente di più: Leu, che conta quattro senatori, ha già dato la propria entusiastica adesione: «Eravamo interessati ad un governo di svolta, e nelle parole di Zingaretti abbiamo ritrovato la scelta di un governo di svolta», assicura Federico Fornaro. La «svolta», per gli scissionisti anti-renziani, subito finiti nel dimenticatoio, significa finalmente l'occasione per tornare a casa senza doverlo dire, e rientrare nel Pd. Il partito è piccolo, ma conta più anime che elettori, e le anime stanno già litigando per chi dovrà sedere nel governo. Pier Luigi Bersani vorrebbe promuovere il fido Roberto Speranza: «Ci vogliono giovani nell'esecutivo», ha detto, pensando a lui. Ma l'emiliano di vasta esperienza Vasco Errani ha anch'egli buone carte da giocare. L'ex presidente del Senato Pietro Grasso (che però ha rotto con Bersani) sarebbe certamente disponibile, e il suo nome è circolato per il ministero della Giustizia. Ma Laura Boldrini ha anche lei i suoi supporter, tanto più che è donna e le donne come sempre scarseggiano. Insomma, il premier non ha ancora sciolto la riserva ma dentro Leu già si accapigliano. Gli ex Ncd che uscirono da Forza Italia ai tempi di Alfano si sono divisi: Beatrice Lorenzin starà con il governo, Maurizio Lupi lo definisce «un teatro dell'assurdo». Nel Gruppo Misto ci sono anche 5 ex grillini fuoriusciti, come Gregorio De Falco o Paola Nugnes, che erano in rotta con la Lega e voteranno sicuramente il governo: con loro la maggioranza sale a 167. C'è poi il gruppo delle Autonomie, che alle consultazioni ha annunciato l'astensione sulla fiducia la governo e «poi ci regoleremo di volta in volta». Ne fanno parte anche i senatori a vita Giorgio Napolitano e Elena Cattaneo, oltre a Gianclaudio Bressa e Pier Ferdinando Casini che dovrebbero votare a favore della fiducia, arrivando quindi a quota 169. Emma Bonino per ora mantiene la riserva: «Non compro nulla a scatola chiusa».

I numeri ci saranno, con relativi mercanteggiamenti. Resta però un grosso problema: le commissioni parlamentari, snodo essenziale per mandare avanti i provvedimenti. Oggi, grazie alla precedente maggioranza, molte (5 alla Camera e 5 al Senato) sono controllate da presidenti della Lega. Alcune sono cruciali, soprattutto in vista della manovra, e i presidenti possono influire molto sull'iter e i tempi: la Bilancio a Montecitorio (Borghi), al Senato la Finanze (Bagnai). Sempre in quota Lega sono la Attività produttive di Montecitorio, così come la Trasporti e la Lavoro, mentre a palazzo Madama le commissioni Affari costituzionali e Difesa. Prima di metà legislatura non si potranno sostituire i presidenti, con una nuova votazione e maggioranze diverse.

La via crucis parlamentare è assicurata.

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