I primi a intraprendere le vie legali erano stati a gennaio alcuni azionisti udinesi, per timore di finire sul lastrico. All'indomani del crollo della Popolare di Vicenza e di fronte all'impossibilità per i soci di vendere i pacchetti azionari, l'eventualità che la banca potesse anche chiedere la restituzione dei finanziamenti concessi contestualmente all'acquisto di azioni, aveva spaventato l'intero tessuto sociale e imprenditoriale che nel Nordest gravitava intorno al feudo di Gianni Zonin. Industriali, ma anche piccoli risparmiatori. Uno spettro che si è materializzato davvero in questi mesi, sebbene a macchia di leopardo tra i soci, ma che ora un pronunciamento del tribunale di Venezia promette di scacciare: con un provvedimento d'urgenza, riportato ieri dal Corriere del Veneto, il giudice della sezione imprese Anna Maria Marra ha accolto il ricorso di un socio congelandone il debito nei confronti della popolare. Oltre 9 milioni di euro a cui, per il momento, la banca dovrà rinunciare, in attesa della definizione della causa. Un'ordinanza «importante» secondo gli esperti, perché certifica la nullità di una prassi, quella della cosiddetta «baciata» in uso durante la passata gestione dell'istituto - come accertato dalle inchieste in corso in tre procure distinte, Vicenza Udine e Prato - dove la concessione dei prestiti era legata a doppio filo all'acquisto dei titoli. Il cui valore è crollato da 62,5 euro a 0,10 centesimi, lasciando 120mila azionisti con un pugno di mosche. Un modus operandi che secondo il tribunale veneziano violerebbe la norma del codice civile sugli aumenti di capitale che non permette alle società di accordare prestiti e fornire garanzie per l'acquisto delle proprie azioni. Nel caso in questione poi, l'istituto vicentino pretendeva il rientro delle somme sostenendo che queste non fossero state correlate all'acquisto di azioni, su cui il cliente avrebbe deciso in modo autonomo. Ma la vicinanza temporale tra le due operazioni - il finanziamento e i titoli comprati - non ha convinto il giudice, che ha bloccato il rimborso.
La stessa strada intrapresa da altri azionisti ora si annuncia in discesa. Si tratta di «un precedente interessante, perché arriva da un tribunale specializzato» spiega l'avvocato Giuseppe Campeis, che in Friuli Venezia Giulia difende azionisti della popolare per posizioni complessive che sfiorano i dieci milioni. «Noi ci siamo mossi subito, per poter mettere in sicurezza il patrimonio dei clienti». L'ordinanza non fa che dare fiato alla linea assunta dal legale: «Gli aumenti di capitale attuati con operazioni baciate siano da considerarsi nulli. Non c'è credito concesso e non c'è aumento». È una speranza, soprattutto, per i piccoli risparmiatori. «Una signora è venuta da me in lacrime - ci dice l'avvocato Renato Bertelle, presidente dell'associazione azionisti BpVi - le hanno chiesto il rientro di un prestito con azioni di 30mila euro, tutto quello che ha».
E lo sconforto di tanti risparmiatori traditi è arrivato ieri fino alla chiesa di Montebello, dove si celebrava l'ultimo addio ad Antonio Bedin, il pensionato che si è tolto la vita e che aveva perso 400mila euro in azioni dell'istituto. Dopo la cerimonia la rabbia è corsa fino all'abitazione, poco distante, dell'ex patron della banca, Zonin, con un sit in di protesta: «Basta morti per le banche venete»
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