Mentre Barack Obama deve fronteggiare un pesante crollo di popolarità, anche dovuto alle incertezze linguistiche nella gestione del caso Isis, il «partito degli amici occidentali» di Vladimir Putin ingrossa le sue fila sempre di più. Non solo il Front National di Marine Le Pen, dato ormai come primo partito in Francia secondo le ultime rilevazioni, ma sono dalla sua parte anche gli ungheresi del Jobbik, gli euroscettici inglesi dell'Ukip di Nigel Farage, la Libertà di Geert Wilders in Olanda, l'austriaco Fpö, passando per la Lega Nord di Matteo Salvini che su facebook annuncia per ottobre una sua visita al Cremlino («La Nato potenzierà gli armamenti ai confini con la Russia. Invece di unire le forze contro la minaccia islamica, qualche cretino preferisce rompere le scatole a Putin» scrive sul social). E si tratta di alleanze che si fanno sempre più di peso.
Marine Le Pen per dirne una, se si votasse domani sconfiggerebbe François Hollande al ballottaggio, come emerge dal sondaggio Ifop realizzato per il quotidiano Le Figaro . Dell'Ukip si è già scritto in abbondanza, anche per la campagna «contro» che la stampa europea gli ha riservato tra foto ritoccate e falsi scandali, e Cameron è per questo molto preoccupato visto che tra pochi mesi si andrà alle urne anche in Gran Bretagna. Senza dimenticare gli ammiratori mainstream, così come osservato più volte dal New York Times , come gli ex Primi Ministri Berlusconi e Schroeder.
Ma non sono solo i partiti a «votare» per il presidente russo. Due mesi fa il quotidiano Independent aveva diffuso un sondaggio dopo che Farage aveva indicato in Putin il leader del mondo da lui più ammirato. Il risultato? I lettori, in massa, (82%) avevano votato proprio l'ex capo del Kgb relegando Cameron ad un misero 2%, con Obama al 4%, Merkel all'8%, Hollande all'1%, come il nipponico Shinzo Abe. Un plebiscito, ottenuto nel Paese più filoamericano del vecchio continente. Sulla Piazza Rossa intanto si sfondano record su record. La popolarità del presidente russo tocca quota 80% come dimostra il rapporto del Centro di Analisi Politiche (TSPA).
Un panorama a cui fanno da sfondo le difficoltà obamiane nella gestione delle due crisi, quella con il Califfato e quella in Ucraina. «Il crollo della politica estera di Obama», ha certificato qualche giorno fa il cliccatisimo magazine Politico.com, secondo cui quello a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane, in tempo reale, «è il crollo intellettuale della politica estera di Obama, accompagnato dal suo rapido disfacimento politico». Il riferimento è alla mancanza di una strategia contro l'Isis in Siria. Mercoledì scorso Obama, nel corso di una conferenza stampa in Estonia, ha dichiarato che il suo obiettivo era quello di «degradare e distruggere l'Isis». Poco dopo, però, ha detto che gli piacerebbe fare pressione sul gruppo per renderlo «un problema gestibile». Insomma, uno svarione linguistico non da poco. Anche i numeri «in casa» lo condannano: Gallup dice che il suo gradimento per la settima volta è sceso al 38%. A ciò si aggiunga un pericolo di natura militare-commerciale: il governo degli Stati Uniti, dopo il caso ucraino, vede un'altra crisi all'orizzonte per l'eccessiva dipendenza dai motori russi per i propri razzi spaziali a cui non sa ancora come ovviare.
A Mosca invece l'atmosfera è un'altra, con a supporto anche una pagina facebook «Putin fan club» che conta 28mila I like
a cui si aggiunge il pollice artistico in su di Albano Carrisi, ormai di casa a Mosca, che sottolinea: «Se in Ucraina non andrà a finire come nei Balcani, bisognerà ringraziare Putin. Un grande illuminato».twitter@FDepalo
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