N uovi siluri in arrivo verso il Nuovo Centrodestra e il governo, mittente l'ex braccio destro di Veltroni. Con Salvatore Buzzi e Massimo Carminati relegati in un quadretto dello schermo, costretti dal collegamento in teleconferenza a trasformarsi in imputati-tamagotchi in pochi, confusi centimetri di pixel, la «star» della affollatissima prima udienza del processo a Mafia Capitale è stato lui, Luca Odevaine. Uscito dal carcere - è ai domiciliari - dopo 11 mesi, giusto in tempo per poter entrare a piedi e in carne e ossa nell'aula Occorsio del tribunale di Roma, dopo essersi anche scrollato di dosso l'aggravante dell'agevolazione mafiosa, l'ex vicecapo di gabinetto di Walter Veltroni in Campidoglio non si nasconde certo. Anzi.
Giacca e cravatta, un po' di barba come retaggio dei mesi di reclusione, Odevaine chiacchiera con il pm Paolo Ielo tra le occhiatacce degli avvocati dei suoi coimputati (questa è una scena che non vorremmo mai vedere, spiega un legale) «certificando» il suo nuovo status di collaborante. Ma il «facilitatore» di Buzzi e delle coop bianche nel business dell'immigrazione, seduto tra le prime file del pubblico, si concede non troppo riluttante anche alle domande dei cronisti. «Ho fatto degli errori, ho ammesso le mie responsabilità e ora sto collaborando con i magistrati», spiega, confermando il suo «pentimento». Anche se subito dopo smonta una delle architravi del teorema accusatorio, «a Roma non c'è un sistema mafioso che gestisce la città, a Roma le cose si trascinano». Quanto alla mafia, nella capitale, secondo Odevaine, Cosa Nostra «investe in attività legali».
L'uomo che sedeva al tavolo del Viminale per l'immigrazione aggiunge che lui con Carminati non c'entra e poi offre alla galassia delle coop sociali, finite al centro del processo sul «mondo di mezzo», una giustificazione: «Bisogna arrivare a compromessi fiscali, perché lo Stato non paga». A stopparlo arriva uno dei carabinieri che presidiano l'aula, che dopo aver notato il capannello di giornalisti intorno all'imputato urla uno stentoreo «lei non può parlare».
Ma, appunto, con i magistrati invece Odevaine poteva parlare. E lo ha fatto, più volte. Confermando, anche negli ultimi verbali, quanto gli inquirenti gli avevano sentito dire ai propri collaboratori nelle intercettazioni, e poi nei primi interrogatori. Con più dettagli, e un ruolo più definito per il bersaglio eccellente targato Ncd: il sottosegretario alle politiche agricole Giuseppe Castiglione.
Il politico siciliano vicino ad Alfano, che da presidente della provincia di Catania era soggetto attuatore del Cara di Mineo, sarebbe stato al corrente che Odevaine era «stipendiato» dalla coop bianca «La Cascina» per confezionare su misura - per la stessa coop vicina a Cl, della quale Ncd sarebbe stato il partito «di riferimento» - il bando di gestione del centro di accoglienza. Odevaine, inoltre, secondo quanto scrive Repubblica , negli ultimi interrogatori avrebbe parlato ai magistrati anche del «coinvolgimento di interessi mafiosi» sul Cara.
Insomma, come era previsto le scosse del processo a Mafia Capitale arrivano a scuotere persino Palazzo Chigi. E tra qui e la prossima udienza, in calendario martedì 17, il deposito da parte della procura di nuovi atti d'indagine potrebbe far finire altra carne al fuoco.
In attesa che Buzzi, Carminati e lo stesso Odevaine raccontino non più intercettati o a verbale, ma con la propria voce e davanti al giudice e alle telecamere, le loro verità sui gangli di interesse che si dipanavano da Roma fin giù in Sicilia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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