Oman, silurate due petroliere Washington accusa Teheran

Gli equipaggi salvati dalla flotta Usa. Il segretario di Stato, Pompeo: non esclusa una risposta militare

Roberto Fabbri

Precipita la situazione nella strategica area del Golfo Persico dopo che ieri mattina due petroliere sono state attaccate al largo dell'Oman. Gli Stati Uniti accusano l'Iran dell'azione criminale, che segue una simile ma meno grave accaduta nella stessa area il mese scorso. Teheran nega, appoggiata dalla Russia che invita a «non trarre conclusioni affrettate». Conclusioni che ha invece già tratto l'Arabia Saudita, impegnata nello Yemen in un conflitto a distanza con gli iraniani che sempre più spesso sconfina sul suo territorio: «Sono 40 anni ha detto il ministro degli Esteri di Riad che l'Iran semina caos e morte nella regione». Mentre il prezzo del petrolio si è già impennato del 4%, evidente il rischio che questo episodio possa innescare una escalation in un'area da cui passa un terzo del petrolio trasportato via mare verso l'Occidente. L'ayatollah Khamenei rifiuta di raffreddare il clima: «Con Trump non parliamo», ha tagliato corto. Un conflitto che vedesse coinvolti l'Iran e l'Arabia Saudita sarebbe molto più pericoloso di quello latente in Medio Oriente da decenni.

Le navi, la Altair appartenente a una compagnia norvegese e la Kokuka Courageous a una giapponese, sono state colpite con siluri, in attacchi coordinati e mirati che hanno costretto gli equipaggi alla fuga. La Altair, che era diretta a Taiwan e aveva da poco caricato 75mila tonnellate di nafta in un porto degli Emirati Arabi Uniti, è stata colpita tre volte e ha preso fuoco, ma non è affondata. La Kokuka, con il suo carico di metanolo pure effettuato negli Emirati, è stata silurata una prima volta, poi inseguita e colpita: un marinaio giapponese è rimasto ferito. Unità militari della Quinta Flotta americana, basata nel Bahrein, sono intervenute in soccorso e hanno portato in salvo decine di persone che avevano preso il mare su scialuppe. Un dirigente Usa coperto da anonimato ha definito «palesemente falsa» la notizia diffusa da Teheran secondo cui la Marina militare iraniana avrebbe salvato gli equipaggi: semmai, ha detto, possiamo considerarli loro prigionieri. Il governo di Washington sta valutando la situazione, ma il segretario di Stato Mike Pompeo accusa: «Sono loro i responsabili, Gli spudorati attacchi nel Golfo fanno parte di una campagna dell'Iran per aumentare le tensioni e creare sempre più instabilità nella regione. La risposta sarà economica e diplomatica». Ma altre fonti parlano di «tutte le opzioni sul tavolo», quindi anche quella militare.

L'Iran da parte sua non solo nega ogni coinvolgimento, ma punta il dito contro «la tempistica più che sospetta degli attacchi», avvenuti mentre il premier giapponese Shinzo Abe si trova a Teheran per il suo primo viaggio ufficiale. L'allusione è nei confronti dei sauditi, che secondo Teheran avrebbero interesse a far credere a una responsabilità iraniana che potrebbe fornire un pretesto per un attacco americano. Ipotesi quanto mai preoccupante, e che si verificherebbe dopo oltre un mese di crescenti tensioni nella regione, già da anni teatro di contrasti fortissimi tra Iran e Stati Uniti: risale al 5 maggio l'annuncio dell'invio nel Golfo di una task force Usa composta dalla portaerei Lincoln e da bombardieri. Tre giorni dopo, Teheran risponde minacciando di riprendere la produzione di uranio arricchito. Trump reagisce ordinando una raffica di sanzioni.

Il 12 maggio è la volta di quattro «misteriosi» sabotaggi ai danni di due petroliere saudite e di altre due navi: gli attacchi avvengono al largo del porto di Fujairah, l'unico di cui dispongono gli Emirati sul Golfo dell'Oman e strategico perché consente di aggirare lo stretto di Hormuz.

È un episodio inquietante, la cui responsabilità viene attribuita a Teheran dai sauditi, che il 30 maggio organizzano un summit arabo durante il quale ottengono sostegno contro l'Iran. Gli schieramenti per un conflitto si delineano, e gli attacchi di ieri potrebbero rappresentarne la miccia.

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