Omicidio Regeni, due arresti Nei suoi scritti la sfida al potere

Le autorità egiziane hanno fermato due sospetti. Esclusa l'ipotesi terrorismo, si segue la pista politica e i contatti con il mondo sindacale. Oggi la salma a Roma e l'autopsia

Omicidio Regeni, due arresti  Nei suoi scritti la sfida al potere

La polizia egiziana avrebbe arrestato due sospetti, 48 ore dopo il ritrovamento del cadavere di Giulio Regeni. «Le agenzie di sicurezza - spiegano fonti anonime - hanno raccolto indizi importanti sul caso, i quali dimostrano che si è trattato di un atto criminale non collegato al terrorismo». Una tempistica, che guarda caso coincide con l'arrivo al Cairo ieri pomeriggio di un team di investigatori italiani, che parteciperà alle indagini.La salma di Regeni arriverà oggi alle 13 a Roma accolta dal ministro della Giustizia Andrea Orlando. E verrà sottoposta ad autopsia ordinata dalla procura della Capitale, che ha aperto un fascicolo per omicidio. Ieri si è svolta una piccola cerimonia con i genitori e gli amici presso la cappella dell'ospedale Umberto I al Cairo, dove era stato portato il corpo.Gli investigatori italiani arrivati in Egitto sono 7 fra carabinieri, poliziotti ed Interpol.Nel caso emerge che la vittima non era proprio un ricercatore di Cambridge, al di sopra delle parti, come è stato dipinto dai giornali nazionali e locali. «In un contesto autoritario e repressivo come quello dell'Egitto dell'ex-generale al-Sisi, il semplice fatto che vi siano iniziative popolari e spontanee che rompono il muro della paura rappresenta di per sé una spinta importante per il cambiamento», scriveva Regeni in un articolo postumo pubblicato ieri dal Manifesto. Il riferimento è alle lotte contro una circolare del governo che «rappresenta un ulteriore attacco ai diritti dei lavoratori e alle libertà sindacali, fortemente ristrette dopo il colpo di stato militare del 3 luglio 2013». La famiglia aveva chiesto di non pubblicare l'articolo, che descrive una riunione dei sindacati dove si incita «una manifestazione unitaria di protesta a Tahrir!», diceva anche qualcuno tra i presenti, invocando la piazza che è stata teatro della stagione rivoluzionaria del periodo 2011-2013, e che da più di due anni è vietata a qualsiasi forma di protesta. Il brillante dottorando di Cambridge, non era proprio distaccato politicamente. Il Manifesto lo descrive come «marxista gramsciano». E nell'articolo postumo Regeni sosteneva che «sfidare lo stato di emergenza e gli appelli alla stabilità e alla pace sociale giustificati dalla guerra al terrorismo, significa oggi, pur se indirettamente, mettere in discussione alla base la retorica su cui il regime giustifica la sua stessa esistenza e la repressione della società civile». In un paese come l'Egitto dove l'antiterrorismo non va per il sottile e la polizia è nota per la sua brutalità significa attirarsi addosso possibili guai, soprattutto se fai il ricercatore e non il giornalista.Fonti diplomatiche italiane confermano che il telefonino di Regeni non è stato ritrovato. Fra i suoi contatti aveva personaggi poco amati dal regime o addirittura sulla lista nera e legati ai Fratelli musulmani fuorilegge al Cairo. Nessuna colpa, ma come ha scritto ieri il Giornale potrebbe essere un tassello per spiegare la brutta fine del giovane.«Giulio Regeni è uno di noi. È morto come uno di noi» si legge in arabo ed inglese su Facebook per un appello ad un sit in davanti all'ambasciata italiana oggi pomeriggio. L'iniziativa dei suoi amici locali ed attivisti ha già raccolto 400 adesioni: «È stato rapito, torturato e ucciso come molti altri egiziani».Sul caso Regeni il ministero degli Esteri de il Cairo ha denunciato «tentativi di compromettere le relazioni bilaterali» con il nostro Paese. «È importante non dare a certi nemici l'opportunità di strumentalizzare la morte del giovane» ha dichiarato Amr Helmy, ambasciatore egiziano in Italia.Il riferimento è probabilmente ai Fratelli musulmani, che hanno molti seguaci soprattutto a Milano.

«Cercare la verità e la giustizia per il nostro Giulio Regeni è un dovere - ha annunciato Renato Brunetta a nome dei deputati di Forza Italia - Così come è un dovere non recedere dall'alleanza oggettiva tra Italia ed Egitto, anche in vista della stabilizzazione della Libia, che senza una partnership tra Al Sisi e il nostro Paese è compito impossibile».

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