«È il surplus dell'economia tedesca il killer dell'Europa, ed è un assassino conosciuto da tutti», scrivevamo una settimana fa, proponendo la reflazione della Germania come soluzione alla crisi europea. Ma non è soltanto questo.
La reflazione è nel patrimonio culturale delle famiglie politiche maggioritarie dell'Unione europea: di quella popolare, che ha come base l'economia sociale di mercato di Wilhelm Von Röpke; e di quella socialdemocratica di Karl Kautsky. Addirittura allargabile alla cultura anglosassone di William Henry Beveridge, teorizzatore del Welfare State: « From the cradle to the grave » («Dalla culla alla bara»); e di John Maynard Keynes, teorizzatore dello Stato regolatore della domanda e, quindi, dell'economia.
Quello che ha prevalso in Europa negli anni della crisi, dunque, vale a dire la dottrina dell'austerità fine a se stessa imposta dalla Germania ai paesi dell'eurozona in difficoltà, è una teoria a matrice religiosa, luterano-calvinista totalmente anomala, fuori sincrono. Non ha un padre, se non l'approccio protestante di Angela Merkel; l'approccio cultural-religioso luterano-calvinista tedesco per cui la parola debito contiene in sé anche il concetto di colpa. L'austerity non ha un padre, se non gli interessi di bottega ed egemonici dell'attuale classe dirigente della Germania.
La sola base teorico-culturale del rigore nei bilanci come toccasana di tutte le crisi è quella del Fondo Monetario Internazionale, prima della revisione del suo capoeconomista, Olivier Blanchard. Una volta, infatti, la sigla del Fondo, che in inglese è Imf, veniva declinata dagli addetti ai lavori in « It's Mostly Fiscal », data l'impostazione rigorista della sua politica economica. Ebbene, con uno studio del 3 gennaio 2013, dal titolo « Growth forecast errors and fiscal multipliers », la musica è cambiata. Dalle analisi in esso riportate è emerso che le politiche di austerità e di rigore di bilancio adottate nell'eurozona negli anni della crisi hanno avuto effetti (negativi) sulla crescita maggiori del previsto/del normale. È bastato questo per affermare che le politiche economiche da adottare per fare fonte alla crisi avrebbero dovuto essere ben altre. Purtroppo, però, il Fondo Monetario Internazionale ha fatto autocritica, l'Europa a trazione tedesca no.
Dov'è nella tradizione europea, ci chiedevamo, il concetto di «compiti a casa»? Non c'è. Non ci pare che il 27 febbraio 1953, quando fu stipulato l'accordo di Londra, alla Germania fu detto: «Hai perso la guerra, è colpa tua, paga i debiti». E ci pare che, al contrario, fu applicato il principio di solidarietà quando, complice l'attuale ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, allora ministro dell'Interno del governo di Helmut Kohl, il 1° luglio 1990 ci fu l'unificazione con cambio uno a uno tra il marco della Germania est e il marco della Germania ovest, mentre sul mercato quest'ultimo valeva sette volte il primo. E il costo dell'operazione fu scaricato sulle altre monete, con spesa enorme per tutti.
La dottrina del «sangue, sudore e lacrime» non ha cittadinanza in Europa. È solo il risultato della congiuntura politica miope, egoista, egemonica tedesca del dopo Schröder, che rischia di essere implosiva non solo per l'Europa, ma per la Germania stessa.
Ecco perché noi proponiamo di recuperare la cultura e la tradizione europea, ribadendo l'importanza della reflazione per rilanciare l'Europa. Reflazione vuol dire diminuzione della pressione fiscale; aumento della domanda interna; quindi dei consumi; degli investimenti; dei salari; delle importazioni e, di conseguenza, della crescita. La reflazione diventa necessaria quando si tocca il fondo della recessione e della deflazione, e per risalire la china serve un «rimbalzo».
La Germania deve reflazionare per rispondere alle ripetute raccomandazioni della Commissione europea dovute all'eccessivo surplus delle partite correnti della bilancia dei pagamenti (netta prevalenza delle esportazioni sulle importazioni). Gli altri paesi devono farlo per imboccare la strada della ripresa e dello sviluppo. E possono farlo attraverso lo strumento dei Contractual agreements , vale a dire contratti bilaterali con la Commissione europea per cui le risorse necessarie all'avvio di riforme volte a favorire la competitività del «sistema paese» non rientrano nel calcolo del rapporto deficit/Pil ai fini del rispetto del vincolo europeo del 3%.
Se la Germania reflazionasse, se spendesse, cioè, in tutto o in parte il suo surplus accumulato, l'Europa potrebbe essere fuori dai guai in un paio di anni. Vediamo i numeri. Nel 2014 (ultimi dati disponibili), il surplus della Germania ammontava a 220 miliardi di euro, vale a dire il 7,6% rispetto al Pil, che, sempre nel 2014, era di 2.904 miliardi. Secondo le regole del Six Pack , confluite nel Fiscal Compact , la media del surplus degli ultimi 3 anni non deve superare il 6%, mentre la media del surplus della Germania nel periodo 2012-2014, per esempio, è del 7%. Insieme alla Germania, i maggiori surplus dell'eurozona sono stati registrati da Olanda (10,9%), Svezia (6,8%) e Danimarca (6,3%). Guarda caso tutti paesi del nord Europa, gli unici che dalla crisi dell'euro in questi anni ci hanno guadagnato. A ben vedere, la riduzione dei surplus dei paesi del nord Europa sotto il 6% si presenta anche come l'unica medicina in grado di ridare sviluppo all'area euro.
Un esempio: dimezzare il surplus della Germania significa mettere in circolo almeno 100 miliardi di euro (3,5 punti di Pil tedesco); più di 150 miliardi se anche Olanda, Svezia e Danimarca faranno lo stesso. Il risultato sarà una spinta positiva, di almeno un punto, alla crescita di tutta l'area euro, che attualmente è ferma, come previsione per il 2015, all'1,5%.
Una reflazione consistente dei paesi in surplus potrebbe, quindi, portare più sviluppo e maggiore occupazione e benessere per tutti. Incluso un positivo effetto in termini di sostenibilità dei debiti pubblici. Se la Germania reflaziona, poi, oltre che diventare più simpatica, migliora anche il benessere del popolo tedesco, cosa da non sottovalutare dal punto di vista del consenso di chi è al governo. Gli altri paesi non in surplus, partecipano alla reflazione della Germania e dei paesi del nord facendo le riforme, abbiamo visto, attraverso i Contractual agreements , in un clima favorevole. Ne deriva quell'innesco positivo che l'Europa sta cercando da troppo tempo e finora non ha mai avuto.
Se alla reflazione della Germania e dei paesi del nord si affiancasse, poi, un grande piano di investimenti, un New deal europeo , da almeno mille miliardi, freschi, approfittando dei bassi tassi di interesse, che rimarranno tali almeno nel medio periodo, e utilizzando la garanzia della Banca europea degli investimenti (Bei), l'Europa non solo uscirebbe finalmente dalla crisi, ma troverebbe uno slancio che dalla creazione della moneta unica non ha mai avuto, diventando competitiva anche rispetto alle altre economie mondiali. E migliorerebbero le performance della Bce, con i suoi Quantitative easing, in quanto la politica monetaria tornerebbe a trasmettersi in maniera efficiente ed efficace all'economia reale.
Risultato, ripetiamo: più crescita; più occupazione; meno tasse; spread più bassi; maggiore sostenibilità dei debiti pubblici; parità dell'euro rispetto al dollaro. In altri termini, fine della crisi e rilancio della costruzione europea. Una strategia win-win, dunque, in cui vincono tutti. E troverebbe finalmente accoglimento la richiesta che il governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, ripete da anni: di non essere lasciato solo a dover gestire con gli strumenti non convenzionali di politica monetaria la crisi dell'area euro.
Perché non chiedere alla Germania di reflazionare, da subito, allora? Lo scriviamo da mesi, e lo sostengono con noi il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco; il filosofo tedesco Jürgen Habermas; lo scrittore, anch'egli tedesco, Peter Schneider; l'ambasciatore Usa presso l'Unione europea Anthony Gardner; il premio Nobel Paul Krugman; l'editorialista di punta del Financial Times Wolfgang Münchau.
Si tratterebbe semplicemente di applicare le regole esistenti, di farle rispettare in maniera simmetrica a tutti gli Stati.
Il primo leader europeo che proporrà con forza questa scelta politica, spiegando alle opinioni pubbliche nazionali che la reflazione è nell'interesse di tutti, e che, soprattutto, è nello spirito e nella tradizione di tutte le famiglie politiche che hanno voluto e realizzato il sogno europeo, seguendo lo spirito dei padri fondatori; chi farà questa scelta politica vincerà in Europa. È l'ultimo treno per Yuma. Presidente (si fa per dire) Renzi, perché non lo prendi?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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