«La risposta è a che prezzo. Se chiudiamo domani mattina con il gas russo il prossimo inverno non sarà semplicissimo. In qualche anno la situazione dovrebbe stabilizzarsi ma all'inizio potrebbero essere letteralmente montagne russe». Al Giornale Massimo Nicolazzi è scettico di fronte alle roboanti promesse di chi dice che è vicina la fine della dipendenza dai rubinetti dello Zar. Il manager ex Eni e Lukoil e che oggi insegna all'Università di Torino è netto: «Fino a settembre-ottobre tra stoccaggi, scorte e contratti in essere, al netto del capire che cosa riusciamo a stoccare, ci arriviamo. Potremmo avere più gas da Algeria e Qatar e aumentare l'import di gas liquido dagli Usa e da altre fonti. Ma in tutti gli scenari possibili non credo si troverà abbastanza gas da sostituire quello russo, senza una riduzione dei consumi. E nessuno ha idea di quanto andremo a pagarlo. E dopo la mattanza di Bucha l'ipotesi di rabbrividire per Kiev sembra diventare una forte opzione politica».
Ridurre di quanto, senza rabbrividire?
«Il governo sembrerebbe stimare una riduzione dell'ordine di almeno 3 miliardi di metri cubi. Un grado sul termostato, utenze industriali solo cinque giorni su sette. Comportamenti difficili, soprattutto ora che stavamo ripartendo. E non sufficienti a colmare il deficit».
Ci toccherà riaccendere le centrali a carbone...
«Con buona pace delle emissioni. Non ci fossimo suicidati sulle trivelle i 3 miliardi di metri cubi a regime dall'Adriatico potevano essere 8/10 ma non in un anno».
Come si spiega l'alchimia sul rublo?
«Già prima della pandemia, da almeno due anni Cina e Russia cercano di sostituire il dollaro come moneta universale per l'energia, vedi il memorandum Mosca-Pechino in euro o il mercato dei futures sul petrolio in yuan. In questa congiuntura storica quella di Putin è una mossa tesa ad eludere in parte la morsa delle sanzioni».
E qui entrano in campo Lukoil e Gazprom...
«Soprattutto Gazprom bank, esentata dalla rete sanzionatoria, può essere usata come proxy della banca centrale per accumulare riserve valutarie non vincolate».
Mercato del gas impazzito. Colpa solo di Putin?
«Beh, Mosca ha rispettato le consegne sui contratti di lungo periodo senza mettere in piattaforma volumi per vendita spot giustificandosi, in modo tecnicamente plausibile, con stoccaggio interno. Anni fa sono stato a Mosca una sera a -43 e capisco la priorità... Di certo non è stato Putin a causare la siccità in Brasile, facendo crollare la loro produzione idroelettrica, né a smettere di soffiare sulle pale eoliche del mare del Nord, né a far sì che i cinesi a metà 2021 si siano messi a consumare da matti».
Questo riaccende il tema dell'affidabilità delle rinnovabili o quanto meno delle «intermittenti»
«Se vogliamo derussificare il fossile che ci resta, pur mantenendolo fossile, non abbiamo oltre alle rinnovabili molte altre opzioni a breve di decarbonizzazione. L'idrogeno? Io lo chiamo Godot, il nucleare non è per domani mattina. L'acciaio non lo fai solo via elettricità con le rinnovabili. Fai la brugola, non la nave. Per ogni uso e settore dovremmo individuare fonti e tecnologie più efficienti. La corsa all'approvvigionamento energetico è un processo industriale, non una sfilata di bellezza».
Serve un ambientalismo piegato alla real politik...
«In Germania i Verdi sparano a tutta le centrali a carbone e valutano di rinviare la fine del nucleare. Hanno il senso della fatica del governare. I nostri non ce l'hanno».
E torniamo al nodo del prezzo...
«Chi si illude che siano i governi a fare i prezzi non ha letto il Financial Times. Se tolgo il gas russo la scarsità dell'offerta, mescolata alla competizione sui mercati e alla concorrenza all'ultima nave, infiammerà il prezzo. Che potrebbe calmierarsi solo se diminuirà la domanda asiatica. Basta guardare ai differenziali, prezzo medio marzo 2022. Parliamo di costo per milione di Btu: mercato giapponese 37 dollari, mercato olandese (e quindi europeo) Ttf 42 dollari. Ma il prezzo del gas liquido in Giappone è in alcuni contratti indicizzato al prezzo del petrolio anziché a quello del gas.
In un anno il petrolio è salito del 100% e il gas del 500%. Per gli importatori asiatici indicizzati a petrolio i 37 dollari diventano in realtà 24. Non è che Joe Biden glielo ordina, è l'Asia che ci guadagnerebbe a portare il gas qui».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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