di Magdi Cristiano AllamC'è ancora qualcuno tra i politici, gli «esperti» e i giornalisti che ha il coraggio di evocare la «Primavera araba» come «rivolta popolare» per la «libertà» e la «democrazia»? Man mano, sottovoce, l'insieme dei poteri che creano l'opinione pubblica, hanno all'unanimità preso atto del fatto inequivocabile che in Libia sarebbe stato preferibile che al potere restasse Moammar al-Gheddafi; che l'avvento al potere del presidente dei Fratelli Musulmani, Mohammad Morsi, per fortuna per un solo anno, ha peggiorato le condizioni di vita degli egiziani; che stiamo pagando a caro prezzo la rimozione del regime di Saddam Hussein in Iraq e che è un suicidio per lo stesso Occidente continuare a infierire contro il regime siriano di Bashar al-Assad. Ed ora che la Tunisia «democratica» del presidente Beji Caid Essebsi, si sta rivelando peggiore della Tunisia sottomessa alla «dittatura» di Zine El Abidine Ben Ali, è arrivato il momento di gettare definitivamente la maschera.Come potremmo continuare ad attribuire l'aureola di «democrazia» all'attuale regime tunisino, quando ha assunto gli stessi provvedimenti per cui il passato regime fu condannato come una «dittatura»: la proclamazione dello stato d'emergenza, l'imposizione del coprifuoco, la repressione violenta delle rivolte popolari, la reintroduzione della pena di morte, la chiusura forzata di decine di moschee denunciate come covi del terrorismo islamico. Ma soprattutto la Tunisia «democratica» ha aggravato a livelli inauditi le condizioni economiche, con la fuga delle imprese e dei capitali, con una massa di cittadini sempre più poveri e costretti, per la prima volta, a fuggire da clandestini a bordo delle imbarcazioni fatiscenti dalle coste libiche. Peggio ancora, questa Tunisia «democratica» ha consegnato 6 mila giovani tunisini ai terroristi dello «Stato islamico» dell'Isis, aggiudicandosi il primato mondiale del Paese che ha il maggior numero di terroristi islamici autoctoni in rapporto alla propria popolazione (11 milioni di abitanti). Ed è così che la Tunisia «democratica» scopre di essere profondamente infiltrata e minata sul piano della sicurezza, ha subito dei gravi attentati terroristici, teme seriamente di essere spazzata via dai terroristi islamici annidati in Libia al punto da erigere un muro di difesa lungo la frontiera orientale.La verità è che i problemi vitali della popolazione non hanno colore ideologico, così come la salvaguardia della stabilità e della sicurezza dello Stato impone le medesime soluzioni. Da millenni nei Paesi o nelle aree la cui esistenza dipendono da un'unica fonte d'acqua, come è il caso dell'Egitto, o dove coesistono in modo forzoso comunità etniche e confessionali diverse e in conflitto, come è il caso della Libia, dell'Iraq e della Siria, o dove manca un ceto medio che funga da raccordo tra chi ha troppo e chi non ha nulla, come è il caso della Tunisia, la stabilità e la sicurezza sono sempre state garantite da un potere centrale autocratico. In presenza di queste realtà strutturali, è del tutto velleitario immaginare di poter «esportare» un modello di democrazia laica e liberale di stampo occidentale. Se fossimo in un mondo di galantuomini, la Fondazione Nobel dovrebbe ritirare il Premio Nobel per la Pace assegnato nel 2015 al «Quartetto per il dialogo nazionale tunisino», «per il suo contributo decisivo alla costruzione di una democrazia pluralistica nel Paese, sulla scia della Rivoluzione del Gelsomino del 2011», formato dal Sindacato Ugtt, Confederazione degli industriali Utica, Lega dei diritti umani Ltdh e l'Ordine nazionale degli avvocati Inoa. Così come il Parlamento Europeo dovrebbe ritirare il Premio Sakharov 2011 attribuito alla «Primavera araba», identificata in Asmaa Mahfouz (Egitto), Ahmed al-Zubair Ahmed al-Sanusi (Libia), Razan Zaitouneh (Siria), Ali Farzat (Siria) e, postumo, a Mohamed Bouazizi (Tunisia), perché «queste persone hanno contribuito ai cambiamenti storici avvenuti nel mondo arabo e questo premio conferma la solidarietà e il forte sostegno del Parlamento alla loro lotta per la libertà, la democrazia e la fine dei regimi autoritari».
Vediamo quanti anni e quali tragedie saranno necessari affinché si rimuovano anche gli altri tabù che ci siamo auto-imposti nel nome dell'immigrazionismo, dell'islamofilia e del politicamente corretto, prendendo atto che si tratta di una auto-invasione di clandestini e non di accoglienza di profughi; che si tratta di una guerra mondiale scatenata dal terrorismo islamico e non di singoli attentati perpetrati da criminali che non avrebbero nulla a che fare con l'islam; che la Turchia di Erdogan è il peggior nemico dell'Occidente e non uno Stato da mantenere nella Nato e da far entrare nell'Unione Europea. Nel frattempo, chiedo a tutti una cortesia: non voglio più sentire parlare di «Primavera araba».magdicristianoallam.it- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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