Padoan nasconde la polvere sotto il tappeto ma mancano 10 miliardi: rischio stangata

Il ministro prova a minimizzare: "La stagnazione del Pil non è una sorpresa"

Padoan nasconde la polvere sotto il tappeto ma mancano 10 miliardi: rischio stangata

Roma - «Il settore dei servizi, l'occupazione e le entrate tributarie sembrerebbero indicare prospettive economiche in miglioramento» per il trimestre in corso. La nota del ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, oltre a segnalare quasi beffardamente che la stagnazione del Pil «non costituisce una sorpresa», rimanda tutto a tempi migliori, cioè alla Nota di aggiornamento del Def di fine settembre ove si spera che la stagione turistica abbia contribuito a bilanciare un andamento statico dei consumi e della produzione.

Questo spingere il buio della stagnazione 45 giorni più in là fornisce l'esatta dimensione delle difficoltà in cui il governo si dibatta da circa un mese, quando era ormai conclamato che non solo quell'1,2% di crescita attesa per quest'anno non sarebbe stato raggiungibile, ma nemmeno quel punto percentuale che avrebbe fatto la differenza. È la condanna di chi è aggrappato ai decimali per raggiungere gli obiettivi fissati con la Commissione Ue di riduzione del debito (dal 132,6% al 132,4% del Pil) e del deficit (all'1,8% del Pil). Ora, cerca di tranquillizzare Padoan dopo l'allarme di Bankitalia, il debito può considerarsi sotto controllo perché tra crescita economica e introiti da privatizzazioni (Enav più la seconda tranche di Poste e qualche altra briciola sparsa), il più può considerarsi fatto.

Il ragionamento non vale per il deficit: le stime dovranno essere riviste al rialzo e comunque bisognerà strappare nuova flessibilità perché se malauguratamente l'economia quest'anno crescesse dello 0,6% (come gli indicatori ora lasciano intravedere), nei primi sette mesi dell'anno il disavanzo della pa si sarebbe già mangiato l'1,4% del Pil. Ovvio che si rivedranno tutti i target al rialzo, ma il pericolo di sfiorare il 2,9% è concreto: questo vorrebbe dire che sin da ora, causa correzione da portare avanti nel corso del 2016, mancherebbero circa 10 miliardi di euro all'appello perché, ove mai Bruxelles e Berlino fossero magnanime, chiederebbero una più dura stabilizzazione come contropartita.

Le risorse per la legge di Bilancio andrebbero pertanto reperite o con tasse o con tagli di spesa. Basta fare due conti: i 15 miliardi per le clausole di salvaguardia, gli 1,5 miliardi finora promessi per le pensioni, 3 miliardi per il taglio dell'Ires e un altro miliardo sparso per sgravi fiscali su lavoro e salari di produttività. Il totale è superiore ai 20 miliardi a fronte, come abbiamo visto, di una crescita modesta e di una flessibilità per il 2017 tutta da definire. Il rischio che la metà di queste spese possa tradursi in maggiori tasse o in annullamento di sgravi (che sempre tasse sono) oggi è concreto.

«Avremo più difficoltà», ha detto ieri il viceministro dell'Economia, Enrico Morando, ribadendo i concetti espressi da Padoan sulla prossima Stabilità. E dunque non hanno torto i capigruppo di Fi alla Camera e al Senato.

«Servirà una manovra da 30-40 miliardi lacrime e sangue», ha chiosato Renato Brunetta. «È il fallimento della politica del governo: con il no al referendum si potrà dare un segnale di discontinuità», ha aggiunto Paolo Romani.

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