La salute degli italiani è sempre in lista d'attesa. Anche quest'anno la relazione di Cittadinanzattiva insieme con il Tribunale dei diritti del malato conferma il progressivo restringersi del welfare nel nostro paese.
Il rapporto viene costruito attraverso le segnalazioni dei cittadini rispetto agli ostacoli che hanno incontrato per usufruire pienamente di un diritto previsto dalla nostra Costituzione, il diritto alla salute tutelato dall'articolo 32.
Aumentano le settimane e spesso i mesi di attesa per ottenere un semplice controllo diagnostico e quindi inevitabilmente aumenta anche il ricorso alla spesa privata spinta dalla necessità di eseguire in tempo controlli necessari.
Se l'attesa per un mammografia è salita in media a 16 mesi è evidente che non tutti possono permettersi il lusso di attendere così tanto. Per un semplice controllo di routine forse ma certamente non se il nostro ginecologo ha trovato un nodulo sospetto ed ha richiesto una mammografia urgente. Dunque l'unica via è quella di pagarla. Eppure stiamo parlando di prestazioni che sono comprese nei livelli essenziali di assistenza, quelli ciò che dovrebbero essere garantiti nelle strutture pubbliche in tutte le regioni.
Dunque il primo problema è quello delle eccessive attese per prestazioni nella sanità pubblica che viene segnalato da 6 italiani su 10. Il pagamento del ticket e la possibilità di ottenere un'esenzione vengono segnalati come problematici dal 30,8 % dei cittadini.
Quanto si aspetta in media per un esame diagnostico? Quasi un anno e mezzo per una mammografia con un dato che peggiora dai 13 mesi del 2017 ai 16 del 2018. Poi un anno per una risonanza magnetica; 11 mesi per una Tac (contro i 10 del 2017). E poi ancora 9 mesi per un'ecografia e 8 mesi, davvero troppi, per una colonscopia. Migliora di un mese, da 8 a 7, l'attesa per una radiografia mentre resta stabile a 6 mesi l'attesa per un ecocardiogramma.
Per quanto riguarda gli interventi chirurgici le attese maggiori vengono segnalate dal 27 per cento dei cittadini per Ortopedia; Chirurgia Generale, 16 per cento; Oncologia,13; Oculistica,11,3.
Un capitolo a parte per l'assistenza di base. Il rapporto con il medico di famiglia si è decisamente deteriorato nel corso degli anni in conseguenza di un serie di fattori che vanno dall'invecchiamento della popolazione all'eccessivo carico burocratico che spesso distoglie il medico invece dalla vera priorità che è la cura dei propri pazienti. I problemi segnalati con maggiore frequenza riguardano il rifiuto di prescrizioni, 27,9 per cento; la sottostima del problema lamentato dal paziente, 20,2; l'inadeguatezza degli orari, 12,3; il rifiuto di visita a domicilio, 10,3; il rifiuto di certificazione medica, 9,3; la ricusazione dell'assistito, 8; l'irreperibilità del medico, 7; i costi per le visite al domicilio, 5.
E proprio quello dei costi a carico del cittadino è forse il nodo cruciale degli ultimi anni che vedono una spesa privata in salita e dunque l'impossibilità di curarsi per chi non ha disponibilità economiche. Una questione strettamente intrecciata alla mancanza di una rete territoriale assistenziale che garantisca anche le cure a domicilio, che oltretutto rappresenterebbero un concreto risparmio per il servizio sanitario nazionale rispetto ad esempio all'ospedalizzazione. Proprio ieri il ministro della Salute, Roberto Speranza, sottolineava la necessità di potenziare il servizio degli hospice e delle cure palliative per i malati terminali. Rispetto ai costi addirittura il 31 per cento dei cittadini segnala la difficoltà o l'impossibilità di sostenere l'onere del pagamento dei farmaci.
Dato confermato dall'indagine del Banco Farmaceutico: sono 500mila gli italiani che nel 2018 non si sono potuti permettere neppure un'aspirina. Troppo costosi anche i ticket per esami diagnostici e le visite specialistiche.
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