«Hai bisogno di qualcosa?». Il messaggio confortante e ammiccante compare ormai su molti siti che visitiamo ogni giorno: è una piccola chat che ci appare come àncora di salvezza quando entriamo in banca via internet, oppure vogliamo comprare qualcosa o decidere dove andare in viaggio. È un servizio clienti a nostra disposizione, solo che si chiama chatbot e - soprattutto - ha una caratteristica unica: non c'è un essere umano a rispondere. C'è una macchina che pensa. Così l'ultima frontiera dell'intelligenza artificiale è parlare con un pc e la notizia è che l'Uomo comincia a fidarsi più dell'assistente virtuale piuttosto che di quello in carne ed ossa. D'altronde tutto viaggia in quella direzione: giusto l'altro giorno per accedere al customer care di un'assicurazione medica, il tempo di attesa è stato di 40 minuti. «Hai 12 persone davanti a te - diceva la voce telematica al telefono -: sarai messo in contatto con l'operatore appena possibile». Appunto: 40 minuti dopo. Oddio: l'operatore è stato gentilissimo, ma a spiegazione richiesta, la risposta è stata «controlliamo e le faremo sapere» (e non ha ancora fatto sapere). Il chatbot no: avrebbe detto tutto e subito, perché l'intelligenza della macchina impara richiesta dopo richiesta. Fino a diventare il problem solver perfetto.
Il problema però è: possiamo fidarci di un computer? E, ancor di più: possiamo fidarci di un computer più che di un essere umano? La risposta arriva dagli studi di ricerca sull'argomento: secondo un'indagine fatta da Kayak - uno dei motori di ricerca in tema di viaggi più famoso al mondo - più della metà degli italiani intervistati (cioè il 54%) sostiene che il principale vantaggio dei chatbot sia rappresentato dalla loro disponibilità e accessibilità 24 ore su 24, 7 giorni su 7; e più di un utente su quattro li considera più affidabili delle persone. Il segnale è evidente, adesso che gli strumenti parlanti sono sempre più perfetti (mostruosamente perfetti): lunedì sera a San Diego, per dire, Apple ha dato un'accelerata sulla via del machine learning lanciando il suo HomePot, un piccolo cilindro con il quale colloquiare con Siri (il maggiordomo tech dell'iPhone) per avere risposte e per dare ordini («che tempo farà oggi?», «mi accendi il riscaldamento?», «ordini la spesa?», «accendi le luci?»). Uno strumento che già la concorrenza - Amazon, Google - ha già dato alla luce, per ora solo in lingua inglese. E la stessa cosa si può fare appunto via chatbot sui computer, macchine sempre più incredibili nelle loro performance se prendiamo come esempio l'iMac Pro presentato da Tim Cook (per ora solo per pochi, visto che costerà dai 5000 dollari in su) che ha numeri da far impressione: 4 Terabyte di disco solido mentre ora ci si meraviglia già a 512 giga; fino a 18 «core» di processore quando già a 8 si pensa a un prodotto super; fino a 22 teraflops di potenza di elaborazione dei dati, considerando che in matematica tutto questo fa 22 per 10 elevato alla dodicesima. Di calcoli al secondo. Come si fa a competere?
Resta, in ogni caso, ancora una umana e profonda ritrosia a parlare financo con il proprio telefono, figurarsi con una macchina senza aspetto fisico.
Anche se il chatbot, messo lì in una pagina web, di solito ha pure una grafica accattivante ed essendo molto gentile per programmazione fa pure fatica a dirti di no. È questo, insomma, il motivo per cui ci fideremo sempre di più di qualche algoritmo servile piuttosto che dei nostri simili. E visto come va il mondo, non avremo neanche torto.
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