Roma - Paolo Feltrin, docente di Scienza dell'amministrazione e Analisi delle politiche pubbliche all'Università di Trieste, è un profondo conoscitore della questione settentrionale e delle vicende della Lega, molto ascoltato anche da Luca Zaia.
Professore, si è molto discusso dell'utilità dei referendum di Veneto e Lombardia. Lei cosa ne pensa?
«Se l'effetto è questo beata inutilità. I referendum sono inutili se va poca gente a votare, come per le trivelle, ma qui ha votato il 62,5% degli aventi diritto, più delle Regionali. In politica contano i numeri. Poi è chiaro che c'è una eccezionalità veneta con quasi il doppio dell'affluenza della Lombardia. Maroni ne esce un po' bastonato. Zaia come il conducator».
Se si svolgesse oggi un referendum del tipo «exit» per divorziare dall'Italia come voterebbero i veneti?
«Non credo voterebbero l'exit, c'è una componente di moderatismo veneto molto forte. Qui il massimo è stato un carro armato fatto di cartone, non è mai stato tirato un sasso o sfondata una finestra. Zaia ha fatto una campagna all'insegna della prudenza e ha bloccato una parte dei suoi andati in piazza con le bandiere catalane».
Perché Zaia ha cambiato marcia e parla di regione a statuto speciale?
«Ha un problema di un eccesso di vittoria. Deve gestire un successo superiore alle attese e dare risposte alla sua base militante, gente che per un mese e mezzo non è andata a dormire. Dopo quel successo non può dire: adesso farò una trattativa in base degli articoli 116 e 119. Ha presente i comunisti? Ogni volta che veniva sottoscritto un rinnovo di contratto lo presentavano come una tappa verso il sol dell'avvenire. Zaia indica un obiettivo importante e di lungo termine».
Zaia si candiderà a guidare l'Italia?
«Non credo proprio. Con l'Italicum magari la candidatura avrebbe potuto avere un senso, ma Salvini ha sottoscritto una legge elettorale che non fa vincere nessuno. Il centrodestra dovrebbe prendere il 55% nell'uninominale e il 52 nel proporzionale, cosa mai avvenuta prima. Zaia può sperare che duri poco la legislatura oppure puntare al terzo mandato».
Ha senso proporre referendum simili in tutte le regioni?
«Non molta, la procedura peraltro potrebbe riguardare soltanto le regioni con i conti in ordine. A parte la Lega i partiti hanno avuto difficoltà a posizionarsi. Paradossale il Pd che ha lasciato libertà di voto perché non in grado di prendere posizione».
La Lega incasserà un dividendo elettorale alle Politiche?
«Sulla carta sì, ma non deve sbagliare le mosse. Ricordo Cofferati che portò un milione di persone in piazza e poi finì a fare il sindaco di Bologna».
Questi referendum implicano un riequilibrio in chiave
nordista del movimento?«Di certo c'è una divisione dei ruoli. Salvini ingoia un rospo amaro e deve fare i conti anche con Zaia e in misura minore con Maroni che recuperano il palcoscenico della visibilità mediatica».
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