Ci siamo trovati di fronte a un muro insormontabile e invalicabile». Filippone non voleva essere salvato e cercava solo il coraggio per arrivare fino in fondo a quel percorso già tracciato. È questa la convinzione dello psichiatra Massimo Di Giannantonio, il mediatore che domenica per sette ore a Francavilla al Mare, insieme al maresciallo Alessio D'Alfonso, ha provato a convincere il manager della Brioni a non suicidarsi.
A Chieti si cerca una spiegazione a una tragedia inspiegabile. La squadra mobile sta ascoltando amici e parenti del padre assassino e passa al setaccio le ultime ore dell'uomo, per capire cosa possa averlo spinto a scaraventare giù dal cavalcavia della A14 Ludovica, la figlia di dieci anni, per poi togliersi la vita. Sarà invece l'autopsia a stabilire se si nasconda un incidente o un omicidio dietro alla morte di Marina Angrilli, 51 anni, precipitata prima di pranzo dal secondo piano dell'appartamento a Chieti Scalo, dove si trovava con il marito, attirata là con la scusa di comprare una lavatrice prima di affittare quella casa. Ma per il capo della Mobile di Chieti, Miriam D'Anastasio, la prima ipotesi «non è la privilegiata».
L'unico punto inequivocabile è che Filippone, 49 anni, aveva subito un forte trauma. «Ha detto che era felice - racconta Di Giannantonio - Poi la sua vita era irreversibilmente iniziata a cambiare in termini intollerabili 15 mesi prima». Impossibile domenica fermarlo. «Ha dovuto cercare dentro di sé il coraggio per lanciarsi nel vuoto - continua il mediatore - La sua esistenza doveva terminare con un atto risolutivo, non c'era per lui possibilità di essere perdonato né di comprendere le ragioni profonde di ciò che aveva fatto».
Ma c'è un particolare inquietante. Su quel viadotto ripeteva: «Mia moglie deve farsi perdonare, devo chiedere perdono a mia moglie, anche lei ha molte cose da farsi perdonare». Come se a spingerlo a compiere quella carneficina siano stati problemi di coppia con la donna. Ipotesi smentita da Francesco Angrilli, il fratello di Marina. «Girano notizie ingiustificate sulla serietà di mia sorella: oltre a essere vittima di questa tragedia, adesso che venga infangata la trasparenza di una persona come lei, aggiunge dolore su dolore». Eppure Filippone domenica non ha fatto nulla per salvarla. «Intorno alle 12 ho sentito un urlo straziante e un tonfo - racconta Giuliano Salvio, un medico che vive proprio nella palazzina di Chieti Scalo - ho visto quella donna e ho tentato di soccorrerla. Non c'era nessuno intorno a lei. Qualche minuto dopo è arrivato quell'uomo, era nervoso, farfugliava, si teneva le mani fra i capelli. Ma restava sempre a qualche metro di distanza, malgrado lei perdesse molto sangue».
Poi mi quella frase assurda: «Ti lascio questo numero, devo andare a prendere mia figlia». Ludovica prima di morire era sotto choc e non ha urlato. Non è escluso che fosse stata drogata con un sonnifero dal padre prima di gettarla dal ponte. Ma bisognerà attendere l'autopsia per scoprirlo.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.