Senza recare offesa ad altri, ci sono due persone fondamentali nella vita di Giancarlo Giorgetti (nella foto) da Cazzago Brabbia, sottosegretario roso dai dubbi dell'incerto governo Conte. La prima, non solo in ordine cronologico, è la madre Angela, cattolica di una fede pragmatica come è quella di chi la vive praticando in Lombardia. Il figlio, che la domenica è in chiesa e in Parlamento è avvistato alle celebrazioni mattutine, è stato incluso nel ristretto gruppo dei politici della «Summer School» organizzata dalla Diocesi di Roma. Nelle tre giornate tra workshop, approfondimenti, aperitivi e preghiere, sabato 27 interverrà Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del consiglio. Ad aprire i lavori, il giorno prima, il segretario di Stato Pietro Parolin. Il titolo «Da Moro a Moro... and more...», cioè da Tommaso ad Aldo Moro. E anche se tra gli invitati ci sono Zingaretti, Quagliariello e tanti altri, non sfuggirà come sia più arduo per un leghista essere accreditato dal cardinale vicario di Roma, Angelo De Donatis. È toccato a Giorgetti, di cui si dice che non vada proprio d'amore e d'accordo con il vicepremier, Matteo Salvini, e che addirittura voglia tagliare i ponti con il ruolo di sottosegretario alla presidenza del Consiglio, mantenendo solo la delega allo Sport. Di lui si sussurrano tante altre cose, che sia pensoso, riflessivo e vendicativo. Si vedrà.
Ma veniamo alla seconda persona fondamentale nella storia di Giorgetti, classe 1966, che non è stato il cugino banchiere Massimo Ponzellini, nonostante Giancarlo si sia laureato in Economia alla Bocconi per vocazione più familiare che personale. L'uomo della svolta è stato Umberto Bossi, che l'aveva scelto come delfino, erede destinato a succedergli alla guida della Lega. Le cose sono andate diversamente e lui si è ritrovato eterno secondo. Anche Maroni, al momento di scegliere, nel 2013 gli ha preferito Salvini, pensando di poterlo gestire con più facilità. Ogni ulteriore commento è superfluo.
Giorgetti ha lasciato intendere che il potere non gestito dalle prime file gli andasse bene. L'ultima battuta, dopo essere stato costretto a rinunciare all'incarico di commissario Ue, è eloquente. «L'e stai me mèt un tapun sott tèra», è stato come seppellire una talpa sotto terra. A seppellirlo, dicono le (male)lingue, è stato Salvini, attaccando la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, dopo aver escluso di votarla.
Come pensare che von der Leyen potesse vedere di buon grado un candidato leghista, sia pur di profilo moderato e con il soprannome di «Gianni Letta della Lega» come Giorgetti? Meglio ritirarsi con onore che lasciarsi impallinare. Almeno per il momento.Può darsi che sfilarsi da tutti i ruoli, romani inclusi, serva a tornare rafforzati a settembre a Bruxelles. Ma queste non sono sue confidenze, solo supposizioni di chi ha imparato a conoscerlo.
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