Pd, resa dei conti a metà Il vero rebus è come evitare il voto anticipato

Oggi la Direzione con la minoranza chiusa in difesa: si vada avanti e Renzi resti leader

Pd, resa dei conti a metà Il vero rebus è come evitare il voto anticipato

Forse qui si esagera, persino in un partito paradossale com'è sempre stato questo Pd fin dai primi vagiti, bambinello capace di assassinare papà Romano (Prodi) subito dopo il parto di mamma Uòlter (Veltroni). Assistendo al gran movimento a centrocampo di ieri, con varianti sulle fasce e incroci degli esterni, si capisce che la fibrillazione è ai massimi livelli. Colpa di una serie di accadimenti imprevedibili, certo. Così ci troviamo di fronte a una maggioranza del partito, che di regola dovrebbe essere prudente e «responsabilmente» attenta a mantenere lo status quo, che pretende il salto nel buio di elezioni anticipate. Una minoranza imballata dalla mancanza di leader spendibili (anche il governatore pugliese Emiliano si è detto indisponibile a scendere in campo ora, «se ne parla tra quattro anni»), invece schierata tutta in catenaccio a difesa dell'esistente, leggi ex «Re Puzzone». «Renzi resti segretario, la legislatura vada avanti», dice la flebile vocina di Roberto Speranza che, almeno sulla carta, è il leader dei bersaniani (o giù di lì, essendosene dispersi alcuni nel renzismo, altri nelle bislacche metafore dell'ex Capo). Chi ne capisce, tipo il post-rottamato D'Alema, per ora si tiene ai margini della guerra sotterranea. Chi no, vedi i tanti del campo renziano e le seconde linee, straparlano di elezioni. I più accesi, addirittura gli ascari di supporto, quali Angelino Alfano e Dorina Bianchi, tanto per dire. Fanno eccezione il fedele bersaniano Zoggia («il voto? Un film dell'orrore») e l'ex centrista Boccia, che chiede la testa di Renzi. Nella ridda di trattative e contatti, si cerca una mediazione possibile per la Direzione di oggi, nella quale Renzi concederà di non porre la questione delle elezioni «ora e subito» e ottiene la rinuncia a mettere davvero in discussione il suo ruolo di Conducator. D'altronde senza leader alternativo spendibile e una linea, i giochi interni sono obbligati. In dubbio anche la presentazione di un documento le cui linee dovrebbero esser state faticosamente tracciate ieri. Via libera a un governo istituzionale di Grasso compresa. Scelta che non impegnerà più di tanto il Capo, se non per far giungere al premier futuro costanti inviti a «star sereno» e a spicciarsi nel far andare avanti una buona legge elettorale (ovvero una che favorisca la vittoria del Pd in ogni modo).

La soluzione-Grasso sembra al momento la più comoda, e il punto di equilibrio tra il segretario e la sua composita maggioranza. Già, perché quel che ieri è riapparso chiaro, sta nella fragilità dello schiacciasassi di Firenze. Scherani a parte, il grosso della truppa è composta di opportunisti che puntano sul cavallo (ritenuto finora) «vincente». Emergono così i capi corrente che dovrebbero garantire a Renzi l'appoggio anche in futuro, dopo avergli consegnato il partito nel passato. In primis, Dario Franceschini, ex segretario e punto di raccordo concreto tra Pd e Quirinale (è il vero king-maker di Mattarella). Anche la sinistra di Andrea Orlando darà l'appoggio a Renzi, ma solo se «coperta e sicura» della vittoria. E mentre D'Alema e Bersani pare progettino un'«arma letale» da sganciare al momento opportuno sulla segreteria, si allontana il congresso e la resa dei conti.

«Ne parleremo dopo aver messo in sicurezza il Paese, che ora è spaccato. Siamo e restiamo il perno della stabilità con i nostri 400 parlamentari...». Non l'ha detto Renzi, bensì il capo dell'opposizione interna. Speranza di opposizione, appunto.

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