Il Pd si mette in mano a Grillo per isolare sempre più Di Maio

Zingaretti e Franceschini danno ragione al comico: basta litigare sui posti. E rinunciano al vicepremier

Il Pd si mette in mano a Grillo per isolare sempre più Di Maio

L'accusa la lancia Carlo Calenda, che è stato fin dall'inizio contrario all'operazione-governo e che ormai si sente fuori dal Pd: «Devono fare questo obbrobrio per paura delle elezioni o altro? Lo facessero. Ma almeno senza queste umilianti genuflessioni a Grillo. Perché chi rappresenta una comunità ne deve preservare prima di tutto la dignità».

L'ex ministro ce l'ha innanzitutto con i renziani, a cominciare dai capigruppo Delrio e Marcucci, che - accusa Calenda - «dopo aver smontato la linea zingarettiana del no a Conte premier, smonta ora quella del no a Di Maio vice».

Un no a Di Maio che ha alla fine costretto il Pd a rinunciare alla propria comprensibile richiesta di avere un vicepremier unico, annunciata via tweet dal principale candidato a quella carica, Dario Franceschini, con tanto di omaggio al vecchio ex comico che ora si affanna a fare da levatrice al nuovo governo e a levare di mezzo un Di Maio in frenesia da poltrone: «Per una volta - scrive Franceschini - Beppe Grillo è stato convincente. Una sfida così importante per il futuro di tutti non si blocca per un problema di posti». Il giorno prima era toccato al segretario Zingaretti, che aveva risposto all'ultimo post in cui Grillo si dichiarava «esausto» di chi parla solo di «posti» invece che cogliere la grande «occasione» di un nuovo programma di governo. Zingaretti accoglie affettuosamente l'invito del guru pentastellato: «Caro Beppe Grillo, mai dire mai nella vita. Cambiamo tutto e rispettiamoci gli uni con gli altri».

É chiaro che il gioco di sponda con Grillo è strumentale al comune intento di isolare sempre più Di Maio, leaderino in crisi che preferirebbe farsi metaforicamente esplodere piuttosto che cedere terreno ai dem, e che alla Casaleggio non sanno però come disinnescare. Ma sta di fatto che il terreno per il Pd è scivolosissimo, e il rischio di «grillizzazione» incombe. C'è già chi è pronto a regalare una sorta di egemonia culturale al partito casaleggiano: il dem Giovanni Crisanti, che si definisce «il più giovane» membro dell'Assemblea nazionale, si entusiasma per l'appello di Grillo che «chiede collaborazione ai ragazzi del Pd» e si offre: «Noi ci siamo. Rivoluzioniamo la politica, dacci una mano».

Ovviamente il feroce «j'accuse» di Calenda è pro domo sua: sta lanciando una formazione politica liberal-centrista che occhieggia a Forza Italia, e dunque è ovvio che attacchi per cercare di intercettare i consensi di chi, tra i dem, è allergico all'intesa con gli sconclusionati grillini. Ma il problema del progressivo avvicinamento esiste: non a caso lo ha sollevato lo stesso Matteo Renzi, quando nell'intervista al Giornale di metà agosto lanciò il quesito: «Sarà la sinistra a costituzionalizzare M5s o M5s a grillizzare la sinistra?». I segnali inquietanti ci sono: e del resto, che ci sia un'eredità avvelenata che dalla «questione morale» berlingueriana arriva al «vaffa» grillesco è difficilmente contestabile. Le voci critiche sono poche, ma spiccano. Matteo Richetti (unico a votare contro in Direzione) sbotta: «Stanno talmente ragionando di contenuti che le uniche proposte che fanno sbloccare le trattative sono quelle sui posti da vicepremier. Fa talmente ridere che rimane solo da prendere sul serio il blog del comico».

Mentre Matteo Orfini richiama il suo partito sul caso della Mare Jonio, su cui premier e ministri grillini si accodano a Salvini: «Chiedo a Zingaretti e ai capigruppo: perché non esigiamo che sbarchino subito? O davvero possiamo continuare come se niente fosse?».

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