L'Istat ha confermato, siamo un po' più longevi. Nel 2016 la «speranza di vita alla nascita si attesta a 82,8 anni (+0,4 sul 2015, +0,2 sul 2014) e nei confronti del 2013 risulta essersi allungata di oltre sette mesi». Una buona notizia che è stata accolta malissimo da molti lavoratori, perché dall'aggiornamento di questo indice demografico dipende una decisione importante che riguarda le pensioni. Cioè, lo scatto nel 2019 a 67 anni tondi dell'età pensionabile dagli attuali 66,7. Era stato messo in discussione perché nel 2015, per la prima volta nella storia della Repubblica, l'aspettativa di vita è calata. La Ragioneria generale dello Stato aveva messo in dubbio lo scatto e i sindacati si sono mobilitati per evitarlo. Gli Ex ministri Maurizio Sacconi e Cesare Damiano, da sempre su fronti opposti, si erano spesi per frenare il meccanismo.
Ma Inps e il ministero dell'Economia (più sottotraccia) hanno fatto capire a più riprese che non è possibile. La ragione l'ha spiegata Tito Boeri. Se si rinviasse lo scatto al 2021 o si riducesse dagli attuali 5 mesi a 2, ci sarebbe un costo cumulato di 5 miliardi di euro nel triennio che lieviterebbe a 141 miliardi in 20 anni. In altre parole, l'automatismo è una trappola per pensionandi e lavoratori, ma è essenziale per l'equilibrio dei conti pubblici.
L'aggiornamento Istat uscito ieri non è la decisione ufficiale. L'aumento a 67 anni nel 2019 arriverà tramite un decreto ministeriale che deve essere adottato entro la fine dell'anno. Era atteso per settembre, ma le proteste dei sindacati e le resistenze nel governo avevano fatto rinviare la decisione.
Ieri i sindacati sono tornati a chiedere con forza il blocco dell'adeguamento. «L'Inps ha sbagliato più volte a calcolare il Pil. Se avesse sbagliato a calcolare anche l'aspettativa di vita del 2016, finirebbe per condizionare la vita di tanti lavoratori», ha commentato Domenico Proietti, segretario confederale della Uil. Serve quindi una decisione politica. Proietti, insieme ai segretari confederali di Cgil, Cisl Roberto Ghiselli e Maurizio Petriccioli hanno chiesto al governo di «mantenere fede agli impegni assunti nell'intesa del 28 settembre 2016. I lavoratori non sono tutti uguali». Il riferimento è all'impegno preso dal governo di considerare le differenze nelle aspettative di vita tra diversi mestieri. Unico problema, l'Istat non dispone del dato sulla speranza di vita calcolato per i diversi mestieri. «È il momento giusto per stoppare questo meccanismo. Abbiamo perciò tutto il tempo di verificare la reale aspettativa di vita», ha aggiunto la segretaria generale della Cisl Anna Maria Furlan. Ieri il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha aperto ad una revisione. «I tempi per il Parlamento o per le forze politiche che vogliono intervenire su questo versante ci sono», ha spiegato. Poi ha addirittura ipotizzato che se ne possa occupare il prossimo governo. Una patata bollente, soprattutto per il Pd e soprattutto sotto elezioni. Ma dentro il governo c'è il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan che ha più volte fatto capire di non volere rinunciare allo scatto. I risparmi che vengono dalla previdenza valgono oro. Sono quelli più sicuri e anche tra i più graditi dalle istituzioni Ue.
Un altro fronte caldissimo è quello della perequazione. Cioè della rivalutazione delle pensioni in essere sulla base dell'inflazione. Ieri la Corte costituzionale si è riunita per valutare il decreto Poletti, che ha sbloccato la rivalutazione, ma in versione ridotta rispetto alla versione precedente al blocco degli aumenti deciso, anche in questo caso, dal governo Monti.
La bocciatura del decreto potrebbe costare allo Stato circa 30 miliardi di euro, al netto delle cifre già restituite ai pensionati. A sostenerlo è stato il legale dell'Inps, Luigi Caliulo, a margine dell'udienza. Oggi dovrebbe arrivare la decisione, che potrebbe vanificare i risparmi ottenuti con l'aumento dell'età pensionabile.
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