Perdere il bello, un dolore infinito

Perdere il bello, un dolore infinito

Brucia Notre-Dame, e nell'incendio viene distrutto un grandioso simbolo della bellezza. I parigini attoniti nella piazza di fronte alla cattedrale e noi davanti alle immagini della televisione cogliamo il senso d'impotenza dell'uomo di fronte a una calamità improvvisa, eppure possibile nonostante tutti i più sofisticati apparati tecnologici che la scienza ci mette a disposizione. Una civiltà si sviluppa attraverso azioni e avvenimenti, alcuni dei quali si trasformano, nel tempo, nei simboli dell'identità di un popolo. I più importanti, per raccontarne la sua storia, sono quelli che parlano di bellezza. Cosa sarebbero città come Venezia, Roma, Atene senza la bellezza dei suoi monumenti, delle sue chiese, della sua arte? Nulla, un deserto senza storia. Cosa sarà Parigi senza Notre-Dame? Una città molto più povera, con molti meno argomenti per parlare di sé. Proprio osservando la maestosità di Notre-Dame, Victor Hugo rifletteva su quanto fosse povero il suo tempo che non aveva più le pietre e la geniale maestria degli architetti e degli artigiani che avevano elevato al cielo quella cattedrale. La bellezza di Notre-Dame racconta Parigi e i suoi segreti molto più delle pagine di mille libri, egli osservava. I simboli della bellezza vivente sono fragili, e quando vengono distrutti nulla può restituire la loro originaria qualità. Chi vive a Parigi, di fronte al rogo di Notre-Dame coglie l'ineluttabile fine di una storia della propria città che mai più potrà essere raccontata. Un racconto simbolico che la percezione della bellezza poteva continuare a comunicare senza retorica, soltanto osservando. E sono proprio questi nostri tempi ad avere un grande bisogno di valori simbolici per poter farci ritrovare il sentimento della nostra identità, sempre più smarrita nel grande mare dell'indifferenza in cui si rispecchia la globalizzazione. Notre-Dame non è soltanto una cattedrale per venerare Dio o un luogo turistico per ammirare e apprendere la grandiosità dello stile gotico. Essa è diventata Parigi, cioè il simbolo della bellezza della città. Il mondo sarà più povero senza una cattedrale «patrimonio dell'umanità»: ma questa è una formuletta retorica. Certo, tutti sono «penalizzati» quando si perde una grande opera d'arte, ma i primi a patire quella perdita, al di là di ogni facile retorica, sono i francesi, i parigini, a cui viene strappato un loro simbolo vivente. La storia dell'uomo è sempre stata segnata da catastrofi, opere distrutte e sostituite da altre opere, talvolta più grandiose, più belle. Non si restaurava, si abbatteva ciò che rimaneva e si ricostruiva: in questa ricostruzione c'era la testimonianza di una civiltà che credeva nella sua cultura e la riproponeva alla contemporaneità, consegnandola al futuro. Nel segno di questa ricostruzione è sempre stato fondamentale il valore simbolico della bellezza. La disperazione, la paura nei volti di chi osserva l'incendio di Notre-Dame testimonia la consapevolezza che oggi l'uomo non è più in grado di raggiungere i vertici di quella bellezza rappresentata dalla cattedrale parigina. E non so se la rabbia che nasce in me, vedendo il fuoco che devasta tanta bellezza, sia condivisa anche da altri che assistono allo scempio.

È possibile che tanto sapienza scientifica e tanta tecnologia non siano state capaci di prevenire, di sconfiggere, fin dall'inizio, il fuoco che devasta Notre-Dame? Proprio questo è il senso drammatico di quell'incendio: i simboli della bellezza sono fragili, e neppure la scienza e la tecnologia con tutto il loro strapotere sono in grado di proteggerli.

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