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Pil, consumi, spread e lavoro. I 4 fallimenti del Conte-bis

Confindustra certifica la stagnazione, commercio giù e boom dei precari. Siamo tra gli ultimi «Pigs» d'Europa

Pil, consumi, spread e lavoro. I 4 fallimenti del Conte-bis

Piccoli negozi in difficoltà a favore di grande distribuzione, aziende in affanno. Trionfo del precariato e dei comportamenti opportunistici da parte di alcuni datori (utilizzare al massimo i precari e liberarsi dei lavoratori regolari). Tassi di crescita sotto la linea di galleggiamento. Il tutto accompagnato da un livello di sfiducia dei mercati ormai cronico.

Se ci si attiene ai dati, l'Italia del governo Conte II assomiglia molto all'incubo dei suoi due azionisti di maggioranza. M5s e Pd hanno battezzato l'alleanza in nome di una svolta pro sviluppo e pro equità, ma i risultati suggeriscono un accelerazione lungo la parabola del declino.

L'ultimo bollettino del centro studi di Confindustria ha dato conto di un'economia che non accenna ripresa. «Appena sopra lo zero, con più occupazione, consumi in debole aumento e tassi sovrani stabili» e credito in calo, scrive viale dell'Astronomia nella Congiuntura Flash che sintetizza il quarto trimestre 2019, confermando «il persistere di una sostanziale stagnazione».

C'è una mini ripresa della fiducia delle famiglie che non si riflette nei comportamenti: la spesa privata aumenta poco, cresce il risparmio e, sul fronte delle imprese, gli acquisti e gli investimenti sono al palo. Le condizioni per farne «restano piuttosto incerte».

Cambiano le abitudini degli italiani, ma in una direzione che non è esattamente quella che ti aspetti da un governo M5s-Pd. A novembre 2019, secondo i dati Istat diffusi ieri, le vendite al dettaglio sono calate dello 0,2% in valore e dello 0,3% in volume. Rispetto all'anno precedente c'è stata una crescita complessiva dello 0,9% in valore. Un segno più che trae in inganno. In realtà si tratta della conferma di una fase finale 2019 «piuttosto negativa per i consumi, con riflessi sulle dinamiche del Pil», spiega l'Ufficio Studi di Confcommercio.

Va benino il commercio elettronico, che però secondo le associazioni dei consumatori «cannibalizza» quello tradizionale. Anche se, osserva Confcommercio, la variazione registrata a novembre è la più bassa dal 2016. Malissimo le piccole superfici, che registrano «una riduzione grave (-1,4% tendenziale)». Il valore delle vendite nella grande distribuzione, sempre rispetto al novembre 2018, è aumentato del 3,3%. Un declino strutturale al quale da quest'anno si aggiungerà la stangata fiscale della fine della cedolare secca per gli affitti commerciali. Non è uno scenario che sarebbe piaciuto ai grillini della prima ora, pro piccole imprese.

L'economia prende percorsi diversi da quelli attesi. Spesso in contrasto con le intenzioni di chi vara politiche pubbliche. È il caso del mercato del lavoro. Sono della settimana scorsa gli ultimi dati sul lavoro dell'Istat. In parte positivi, nel senso che aumenta l'occupazione. In parte no, perché crescono i contratti atipici e, soprattutto, non si rinnovano quelli a termine.

È un effetto del decreto dignità che aggrava il costo dei contributi per i contratti a tempo. Le aziende non li rinnovano e assumono nuovi dipendenti. Pesa il mancato effetto del reddito di cittadinanza, che non ha favorito la creazione di nuova occupazione.

Sul fronte dei mercati, il governo si prende il merito dello spread su livelli accettabili. Peccato che i rendimenti dei nostri Btp siano sempre tra i più alti d'Europa.

E che ormai superino anche quelli dei titoli di debito sovrano della Grecia. Fanalino di coda europeo, alle prese con una decrescita poco felice, minacciati dalla sfiducia dei mercati. Ultimi membri del poco onorevole club dei paesi «Pigs».

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