Un po' lavoro un po' martirio Così il matrimonio fa paura

Cattaneo: stare con la Ferilli? Una seconda occupazione Il cardinale di Milano, Scola: il sigillo a una vocazione

Un po' lavoro un po' martirio Così il matrimonio fa paura

Il Cardinale Angelo Scola, rivolgendosi ai candidati al diaconato, ha citato le parole del priore di Tibhirine a un suo confratello, terrorizzato di fronte al martirio: lo ha consolato dicendogli di non preoccuparsi troppo perché lui aveva già dato la sua vita entrando nel monastero. In modo analogo, il Cardinale, di fronte a chi iniziava il cammino al diaconato, ha affermato: «Tu hai già dato la tua vita preparandoti seriamente al matrimonio cristiano».

Il manager Telecom Italia, Flavio Cattaneo, ha dichiarato al Financial Times: «Il mio tempo libero è molto ridotto. Mi lasci dire: ho un secondo lavoro». Questo secondo lavoro è il matrimonio con la moglie Sabrina Ferilli.

Il fatto di cronaca. Un americano del Kansas, Lawrence Ripple, ha finto di rapinare una banca per poter andare in galera. Al giudice che gli chiedeva il motivo del suo gesto ha detto: «Preferisco andare in prigione che stare a casa con mia moglie».

Capisco che l'accostamento Scola, Cattaneo, Ripple è oltremodo irriverente. E subito me ne scuso con il lettore, tuttavia si ammetterà che emerge un'idea di matrimonio del tutto estranea a una visione edulcorata, felice, fatta di lusinghe e di tante luminose promesse future, cioè quella superficialità di sentimenti con cui generalmente oggi ci si avvia alle nozze. Che lo si consideri nella visione religiosa del Cardinale di Milano; che lo si consideri nel suo aspetto laico, come nella dichiarazione di Cattaneo al Financial Times; che lo si interpreti nel gesto estremo di chi preferisce la galera alla vita con la moglie insomma il matrimonio viene rappresentato come una decisione che non dà scampo. Il matrimonio è un vincolo assoluto che non ammette mediazioni: la trasgressione nel primo caso significa caduta nel peccato, nel secondo il divorzio, nel terzo la galera.

Prendiamo l'affermazione di Cattaneo. Cosa dice? Il matrimonio è una bella fatica che addirittura impegna come un secondo lavoro. Questo non significa scontentezza, frustrazione: al contrario, può essere proprio come un lavoro, cioè qualcosa che può dare molte soddisfazioni. Se verso di esso non c'è interesse, non c'è quella necessaria disponibilità per prenderlo seriamente, è inevitabile che diventi un semplice vincolo formale, senza senso, senza valore per la propria esistenza.

L'impegno profuso da Cattaneo per rendere autentico il matrimonio con la Ferilli è ammirevole proprio perché finisce per mettere sullo stesso piano «il lavoro matrimoniale» con la sua professione di manager. Potrebbe sembrare un'analogia irriverente, un modo d'essere che interpreta il matrimonio alla stregua di un'impresa aziendale: invece è la testimonianza di una dedizione.

Sposarsi non è un fatto banale, una cosa qualunque: è una decisione che orienta la vita. Banale sarebbe non dedicarsi per dare a questa decisione solidità, una struttura fondamentale. E infatti Cattaneo sottolinea che il suo tempo libero è molto ridotto perché la moglie, pur gradevole come noi la possiamo immaginare, pone, come tutte le mogli e come tutti mariti, problemi di convivenza che vanno risolti per non sfuggire alla responsabilità che comporta la decisione matrimoniale. E ciò richiede tempo.

Dedizione è la parola che meglio spiega l'atteggiamento del manager di Telecom Italia verso il matrimonio; vocazione è quella di Scola per la preparazione al matrimonio cristiano. Non si dimentichi che il fondamento del matrimonio è il «sì per sempre». Quel «per sempre» è un impegno grandioso che, certo, può essere disatteso, non rispettato, ma nessuno in cuor suo, quando si sposa, può dimenticarsene il significato assoluto, impressionante.

Per provare a mantenere la promessa è necessaria la dedizione, la vocazione oppure la rottura radicale: non quella che sceglie le vie legali, ma quella che considera la galera una decisione più rispettosa e seria verso una promessa che non si è in grado di mantenere.

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