dal nostro inviato a Genova
Giuseppe ha 6 anni e si aggrappa con le manine alle spalle e perfino alla barba dell'uomo che lo tiene in braccio. Ma quella stretta non gli basta e allora fa una richiesta vertiginosa: «Disegnami per favore un paio di ali grandi, cosi salgo in cielo a salutare papà». Papà si chiamava Luigi Matti Altadonna, era arrivato dalla Calabria otto giorni prima ed era su un camion di «Mondo Convenienza» rimasto incastrato a 25 metri di altezza. Il suo compagno, Gianluca Ardini, venne salvato in modo rocambolesco dopo quattro ore di tentativi disperati. Lui ha lasciato quattro orfani e Paolo Rizzo, il pedagogista che protegge quello scricciolo, deve farsi forza per non cedere.
É una cerimonia sobria e commovente quella che si svolge nel capannone sventrato esattamente un anno fa dal crollo del ponte Morandi. Il cardinale Angelo Bagnasco, che celebra la messa, sembra interpretare i desideri di quel bambino e dei tanti presenti affranti e immagina i 43 morti «come angeli che si affacciano alla finestra del cielo».
Alcuni dei parenti delle vittime indossano magliette bianche con l'immagine di chi non c'è più. Su quella di Francesca, sorella tredicenne di Giuseppe, rivive papà Luigi, sorridente come chi immagina che il meglio debba ancora arrivare. Invece siamo al primo anniversario di un lutto difficile da elaborare.
Arriva Mattarella e la platea applaude. Il Presidente abbraccia le vedove, le mamme, i figli. Lacrime e pudore. La crisi di governo è squadernata al suo fianco eppure lontanissima. Fa un certo effetto vedere gomito a gomito, in prima fila, il premier Giuseppe Conte, e i due vice, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, separati solo dal sindaco Marco Bucci, in versione cuscinetto. I big sembrano statue: non si parlano, tengono un profilo basso, stringono mani colme di dolore.
Si, Roma e le sue convulsioni, in parte indecifrabili per gli stessi protagonisti, sono a distanza di sicurezza, almeno per questa mattina di tregua civile. Nessuna contestazione e va bene cosi. Pochi minuti prima dell'inizio, si sparge la notizia che mischiati fra la folla ci siano anche Giovanni Castellucci e alcuni dirigenti del gruppo Atlantia, invitati, a quanto sembra, da Bucci. Una coltellata per chi ha perso tutto. Una minidelegazione raggiunge il premier Conte e pone l'ultimatum: «O noi o loro». Passa qualche minuto e i dirigenti del gruppo Benetton battono in ritirata, mentre le voci, a fine giornata, si alzano nel reclamare la revoca della concessione autostradale.
Ma la messa corre sui binari della compostezza, in bilico fra emozioni contrastanti. Incombe il passato, con quella catastrofe senza precedenti, si attende un futuro che ridia speranze e nuova linfa all'economia della metropoli prostrata. Non sono solo sensazioni o parole, è la geografia di quel cantiere a dettare il metronomo della giornata. Nel punto in cui è stato allestito l'altare sono morti schiacciati due dipendenti dell'Amiu, l'azienda ambientale del Comune. Alle spalle del cardinale c'è la pila 9, alta una ventina di metri e simbolo del nuovo ponte disegnato da Renzo Piano. Gli ultimi operai smettono di martellare alle 9.15, quando mancano tre quarti d'ora all'evento. Dietro la pila una gigantesca gru e appeso a un gancio sventola il gonfalone di Genova, in un formato da stadio. Pochi passi e si apre un'altra prospettiva: enormi blocchi del Morandi, tagliati con il filo di diamante, imbracati e portati a terra, nell'enorme spiazzo a fianco del torrente Polcevera.
Bagnasco coglie lo spartito del nostro tempo, rissoso e incerto, e invita tutti all'unità. Il Governatore Giovanni Toti sottolinea il «dolore e l'orgoglio» di una giornata spartiacque. Pensata anche per voltare pagina. E Conte dà appuntamento al futuro che sta per arrivare: «Le squadre lavorano sette giorni su sette e secondo le previsioni il ponte sarà percorribile ad aprile 2020. Genova, precipitata nell'ora più buia, ha riacceso la luce e ha dato speranza al Paese intero». Egle Possetti, presidente del Comitato nato dopo la tragedia, non fa sconti: «La colpa dei nostri cari è stata quella di trovarsi li in quel momento. Una condanna a morte senza appello». Si alzano tutti in piedi a batterle le mani. Le sirene del porto e le campane di Genova scandiscono il minuto di silenzio. I potenti se ne vanno, Giuseppe è sempre in collo al suo vicepapà.
A Palazzo di giustizia il procuratore Francesco Cozzi ammonisce: «Giustizia non è la ricerca di capri espiatori o facili soluzioni, ma contiamo di concludere l'indagine per dicembre».
Anche su questo fronte ci si prepara al rush finale. Di Maio intanto è già tornato sul nodo della concessione: «Da circa un anno stavamo lavorando alla revoca, poi qualcuno ha avuto paura, la Lega si è sempre opposta». L'eterna lite può ricominciare.
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