I ricordi quando invecchiano si affastellano e confondono. Ma non tutti. Molti di essi rimangono impressi nella memoria, magari non con ogni dettaglio, ma nella sostanza sì. Ci fu un lungo momento, 20 e rotti anni orsono, in cui la Procura di Milano era considerata come una cattedrale, piena di santi e di madonne. La madonna era Antonio Di Pietro. I santi erano Borrelli (il capo carismatico), Davigo, Colombo eccetera. I magistrati, in particolare i rappresentanti della pubblica accusa, furono protagonisti di una svolta assai apprezzata dal popolo, stanco della Balena bianca, dei socialisti (ladri per definizione, allora) e di qualsiasi partito che non fosse tinto di rosso vermiglio.
Le toghe avevano buona fama. Chi le indossava con orgoglio e supponenza era guardato con ammirazione, facendo parte attivissima di una sorta di esercito di liberazione. I giudici (pensavano in molti, tra cui io stesso) ci libereranno dai tangentari, dai gaglioffi, dai mariuoli che hanno trasformato la democrazia italiana in una palestra di disonesti, pronti ad arricchirsi alle nostre spalle senza badare all'interesse dei cittadini, sfruttando e mortificando la povera gente oppressa dalle tasse.
Un Di Pietro che, infischiandosene della consueta prudenza attribuita agli amministratori della giustizia, procedeva lancia in resta contro i magliari della politica, veniva portato in trionfo. Il suo nome si leggeva sui cavalcavia delle autostrade: «Tonino salvaci tu». Il contadino togato piaceva da matti. In lui identificavamo il vendicatore, colui che avrebbe ripulito anche gli angoli della stalla politica, ormai mefitica, infetta. Le sue prime mosse non erano gradite ai colleghi della Procura, i quali si dichiaravano stupiti e infastiditi dal fatto che costui, da anonimo magistrato, fosse diventato in poche settimane molto popolare, un divo acclamato.
Borrelli mi scrisse una lettera all' Indipendente , che allora dirigevo con spirito garibaldino, un po' folle, nella quale raccomandava di non esagerare col giustizialismo.
Poi successe una cosa strana ma non troppo. I Pm si resero conto che il dipietrismo era più forte della tradizionale ponderazione cui erano avvezzi i magistrati e mutarono registro. Cavalcarono quasi subito il dipietrismo che in precedenza avevano criticato, consapevoli che esso era foriero di grandi successi e incontrava il consenso delle masse.
Se dapprincipio era il solo Di Pietro ad essere applaudito, nel giro di poco tempo il cosiddetto pool di Mani pulite salì in blocco sul palcoscenico, salutato con entusiasmo, e incoraggiato a castigare i mariuoli. I giornali, inizialmente titubanti e restii ad appoggiare la Procura, abbandonarono in fretta ogni timidezza e si prestarono a fare da cassa di risonanza alle inchieste che avevano scoperchiato il malaffare e la corruzione diffusa.
Il pentapartito - maggioranza di governo - fu presto sgominato, ogni sua componente ridotta al lumicino. In pratica restarono in piedi soltanto l'ex Pci (cioè il Pds), il Movimento sociale di Gianfranco Fini e la Lega di Umberto Bossi. Ma queste sono cose note, anche se gli italiani più giovani, o meno anziani, le ignorano. Quello che è accaduto nel nostro Paese negli ultimi 20 anni ha dell'incredibile. Poiché la famosa discesa in campo di Silvio Berlusconi, sorprendendo gli addetti ai lavori politici, coincise con la vittoria di Forza Italia, frenando la corsa al potere della sinistra (sconfitta alle elezioni del marzo 1994), l'attenzione del pool milanese si concentrò sul ricco Cavaliere, sospettato di aver brigato - e commesso dei reati - allo scopo di agguantare il potere. Per un paio di decenni la Procura si è così distinta nella caccia grossa con questo obbiettivo: se incastriamo l'erede del Cinghialone torniamo alla regolarità democratica. Come è andata a finire lo sappiamo e non è il caso di ricostruire le fasi che hanno portato alla condanna di Berlusconi, base di lancio di Matteo Renzi, succeduto alle meteore Mario Monti e Enrico Letta.
Ciò indispensabilmente premesso, dobbiamo ora registrare che la parziale caduta del fondatore di Forza Italia ha provocato un altro crollo: quello della Procura di Milano, che sta vivendo un periodo orrendo, contrastante con gli anni d'oro inaugurati da Di Pietro e che permisero a Borrelli di candidarsi - regnante Oscar Luigi Scalfaro - alla guida dell'esecutivo (senza fortuna).
Oggi il pool sembra un pollaio. Nel senso che le liti interne alla casta dei signori magistrati prevalgono sull'attività dei medesimi. I media non si occupano più delle mirabili (si fa per dire) indagini condotte dai Vip togati, saliti alla ribalta negli anni Novanta e successivi, bensì dei contrasti violenti tra Bruti Liberati - procuratore capo - e Robledo, suo vice. I due da mesi sono in combattimento e non si è ancora capito perché cerchino vicendevolmente di farsi fuori. Lo spettacolo che essi mostrano ai cittadini è desolante. Non sappiamo chi abbia ragione e chi torto, probabilmente sbagliano entrambi a scannarsi senza requie, suscitando nei cittadini un sentimento negativo ai confini dello scandalo.
Addirittura qualcuno, con perfida ironia, ha commentato in questo modo la disputa fra gli alti magistrati: avanti di questo passo, in Procura si arresteranno fra loro, in una gara a chi ne fa secchi di più. È solo una battuta, ma esprime una preoccupazione non campata in aria. Il settore giustizia è sotto attacco da alcuni lustri. Per un po' si è pensato che le polemiche con al centro i giudici fossero strumentali, tese a delegittimarli per motivi di bassa bottega politica. Poi però si è constatato che anche negli ambienti tribunalizi (che dovrebbero essere austeri e riservati) ci si mena come disperati per una poltrona, e allora la reputazione di lorsignori ne ha sofferto. I sondaggi sulla credibilità dei magistrati sono crollati rispetto ad altre epoche e dimostrano che la stima di cui essi godevano quando imperversava Mani pulite si è assottigliata paurosamente ed è prossima ad esaurirsi.
Qui più che una riforma del sistema giudiziario nel suo complesso, che il legislatore non è
stato capace neanche di cominciare ad abbozzare, urge un drastico richiamo alle toghe di non rendersi ridicole. Già. La giustizia può far piangere, ma non deve farsi compatire se desidera conservare un minimo di dignità.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.