Popolari «Spa», la Camera dà l'ok

Il decreto di riforma passa con 290 sì e 149 no. Le opposizioni sperano nello stop della Consulta

RomaLa riforma delle banche popolari ha superato il primo scoglio, quello sulla carta più facile, cioè l'approvazione del decreto alla Camera. L'aula di Montecitorio ha dato il via libera con 290 sì, 149 no e 7 astenuti. Le oltre 170 defezioni tra assenze e missioni sono di prassi in una giornata come il giovedì. Gli «scontenti» della minoranza Pd, perciò, hanno evitato anche in questo caso azioni di sabotaggio, nonostante la contrarietà al provvedimento.

In particolare, il decreto «Investment compact» stabilisce la trasformazione in Spa delle dieci popolari con attivi superiori agli 8 miliardi di euro (Ubi, Banco, Bper, Bpm, Pop. Sondrio, Creval oltre alle non quotate Pop. Vicenza, Veneto Banca, Popolare di Bari e l'altoatesina Volksbank). Per rendere meno traumatica la metamorfosi, entro 24 mesi dalla conversione in legge del decreto (in scadenza il 25 marzo), le popolari potranno introdurre un tetto del 5% al diritto di voto in assemblea che renderà gli istituti non «scalabili» almeno fino al 2017. Ma Piazza Affari guarda già oltre, alle prossime aggregazioni che saranno agevolate dalla normativa. Bpm ha guadagnato il 4,18%, il Banco il 2,6% e Bper l'1,4 per cento.

Il mercato e gli stessi istituti di credito a matrice cooperativa sembrano aver digerito il colpo di spugna che cancella circa 150 anni di mutualismo e di attenzione al territorio (in realtà già un ricordo per molte di queste realtà, ormai a vocazione nazionale). È semmai la politica a sperare in un colpo d'ala che, sotto forma di stop alla riforma delle popolari, possa scompaginare i programmi dell'esecutivo Renzi che procede come un carro armato. Ieri il compito dell'elogio solenne al nuovo provvedimento è toccato al sottosegretario all'Economia, Pier Paolo Baretta. Il decreto, ha chiosato, «apre una nuova, grande nuova stagione di maggiore maturità per il sistema economico e favorirà aggregazioni e rafforzamenti». Il titolare del dicastero di Via XX Settembre, Pier Carlo Padoan, già nelle scorse settimane ne aveva celebrato la portata innovativa.

Entusiasmi che hanno scatenato il risentimento del dissidente pd ed ex viceministro dell'Economia, Stefano Fassina. «Le popolari non sono solo una specificità italiana», ha rimarcato aggiungendo che «in Francia, Germania e Olanda nessuno si è mai sognato di trasformare in spa con un decreto istituti che hanno continuato a erogare credito anche durante la crisi».

L'ultima speranza è quella dell'incostituzionalità del provvedimento stesso, un sussulto sotto forma di ricorso alla Consulta che le associazioni dei consumatori intendono promuovere. Lo ha spiegato bene il presidente della commissione Finanze della Camera, Daniele Capezzone (Fi): «Non c'erano i presupposti di necessità e urgenza e le soglie di patrimonio fissate sono assolutamente arbitrarie». Sulla stessa lunghezza d'onda, Rocco Palese, capogruppo Fi in commissione Bilancio: «Un decreto che favorirà l'ingresso di soggetti speculativi».

Palese aveva presentato un emendamento per alzare a 30 miliardi il tetto degli attivi che comporta la modifica statutaria, norma che avrebbe salvato la Popolare della sua Regione, quella di Bari. Nulla da fare.

Sulle barricate anche la Lega Nord con Filippo Busin: «Una svendita che mette a rischio 20mila posti di lavoro e consegna nelle mani di pochi le ricchezze delle terre padane». Renzi, però, tira dritto.

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