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"Potrà salvare delle vite. Ma va curata la fragilità"

Lo psichiatra esperto di dipendenze: "Il rischio? Finire schiavi di alcol o altre sostanze tossiche"

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Ancor prima che venga testato, il vaccino anti oppiacei solleva parecchi dubbi. Non tanto sulla sua efficacia clinica ma sulla difficoltà a essere somministrato e sulla sua capacità di scalfire un mercato spietato e organizzatissimo come quello del narcotraffico. Ne abbiamo parlato con Riccardo Gatti, psichiatra che ha seguito l'andamento delle dipendenze generazione dopo generazione e che ora coordina il Tavolo tecnico sulle dipendenze in Lombardia.

Gatti, finalmente il vaccino è arrivato alla sperimentazione sull'uomo. Siamo a una svolta?

«Sarebbe bello poterlo dire. Ed è un bene che ci si avvicini a un vaccino. Ma non sarà una cura contro le dipendenze. E non credo nemmeno sia l'arma per estinguere l'epidemia in corso. Di fatto il vaccino serve per affrontare il problema a valle, non a monte».

Sarà acqua fresca?

«Spero di no. Però bisogna ancora capire tante cose, a cominciare da cosa bloccherà visto che agirà sui recettori del dolore. Credo tuttavia che non avrà l'effetto scudo che in passato hanno avuto altri vaccini. Penso a quello contro la poliomelite che ha permesso di eliminare del tutto la malattia».

Però almeno limiterà il numero delle overdose?

«Probabilmente si ma bisogna considerare un aspetto: chi muore per overdose da eroina o oppiacei spesso non è in cura, non ha voglia di fare un percorso di disintossicazione. Quindi sarà difficile, quando il vaccino sarà sul mercato, proporlo a tutti quelli che hanno sviluppato una dipendenza. E per di più è difficile immaginare che queste persone si ripresentino dopo qualche anno per il richiamo».

Quindi è impensabile curare la dipendenza solo così.

«No, serve un percorso. Il vaccino potrà essere uno strumento da utilizzare in questo iter di cura. La sostanza che si usa è additiva ma non è disattivando il piacere che si disattiva anche la dipendenza. Quella ha altre origini, deriva da altre fragilità.

E non escludo che possa dirottare verso l'uso di altre sostanze che provochino un effetto simile a quello degli oppiacei, come ad esempio l'alcol».

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