"Pregiudizi sul Giornale. Ma è giusto pubblicare la foto del piccolo Omran"

Il presidente dell'Ordine e la censura a Sallusti per le immagini di Brindisi: "Impossibile fare paragoni"

"Pregiudizi sul Giornale. Ma è giusto pubblicare la foto del piccolo Omran"

«Quel bimbo è turbato da ben altro che dal vedersi fotografato. È sconvolto dalla barbarie di una guerra di fronte a cui l'Occidente mostra attenzione solo a tratti, magari per interrogarsi se sia legittimo o meno pubblicare un'immagine». Non ha dubbi il presidente dell'Ordine dei giornalisti, Enzo Iacopino. I quotidiani che ieri hanno pubblicato in prima pagina la foto del piccolo Omran, 5 anni, ferito con il volto ricoperto di sangue e polvere dopo la pioggia di bombe caduta su Aleppo e sulla sua casa, «hanno fatto bene». Convinto che sì, in fondo, se gli occhi hanno bisogno di vedere il dolore per risvegliare la coscienza e strattonare la mente, allora quell'immagine ha assolto la propria missione.

Ricorda il presidente, che la Carta di Treviso, che fissa i limiti dell'informazione quando si tratta di minori (compresi i divieti di pubblicarne le immagini), qui «non c'entra»: «Ciò che ha violato la sua dignità e ha turbato la sua vita è la violenza della guerra, non uno scatto messo in prima pagina che lui non vedrà mai». Ma che ritraendolo nel suo sguardo smarrito e con la manina che sfiorandosi la testa si inzuppa di sangue, ha innescato un'ondata emotiva che magari «si esaurirà nel giro di un giorno» ma che comunque ha toccato le corde collettive. Esattamente come un anno fa il corpicino senza vita di Aylan, 3 anni, immortalato riverso su una spiaggia della Turchia commosse l'Europa e «spinse la Merkel ad aprire le porte ai rifugiati». «Non c'è nulla di raccapricciante in quelle foto».

E se i paletti della deontologia spesso vacillano di fronte alla sfilza di immagini che arrivano dai conflitti, dai barconi nel Mediterraneo e dai massacri del terrorismo, anche per chi ne giudica il rispetto è più difficile tenere la barra dritta? Ricordiamo a Iacopino della censura subita dal direttore del Giornale Alessandro Sallusti perché il 20 maggio 2012 pubblicò in prima pagina la foto di una studentessa rimasta ferita nell'attentato al «Morvillo» di Brindisi. Accasciata a terra, il corpo insanguinato e il viso sofferente: «Non possiamo paragonare le due cose - chiarisce il presidente -. Il bimbo di Aleppo non vedrà mai la sua foto. Nel caso di Brindisi ci fu un turbamento diretto di quella studentessa, delle persone a lei vicine, minori compresi. Quella foto con lei straziata dal dolore, confesso che mi dette fastidio». Eppure l'immagine di quella stessa ragazza fu ripresa da altri media tra cui Repubblica, sebbene non in prima pagina e con un'altra angolazione. Non portò ad alcuna sanzione. Due pesi e due misure? «C'è modo e modo di pubblicare una foto forte. Non fa differenza che sia in prima o in ultima pagina, la fa quale scatto viene scelto», dice. Certo, aggiunge, «se io avessi convinzione che una decisione sia stata presa o stia per essere presa per ragioni politiche farei l'inferno. Non ce l'ho» assicura. Ma il sistema disciplinare chiamato a giudicare il rispetto della deontologia dei giornalisti, potrebbe non essere immune dal tarlo del pregiudizio.

Almeno lo stesso Iacopino non lo esclude: «Che poi nei singoli membri dei consigli di disciplina ci possa essere qualche condizionamento non mi sento di escluderlo. Ma abbiamo organismi collegiali e non giudici monocratici proprio per questo, per attenuare, se non evitare, il pericolo che condizionamenti, anche inconsapevoli, portino a ingiustizie».

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