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Il premier contro tutti vuole l'Italicum fai da te E l'opposizione se ne va

In commissione arrivano i fedelissimi per blindare la legge elettorale M5S, Fi e Sel sull'Aventino. Brunetta: «Avete paura del voto segreto»

Roma And Then There Were None , alla fine non rimase più nessuno. Come nei Dieci piccoli indiani di Agatha Christie, peggio che in un thriller nel quale a essere colpita a morte c'è solo l'idea di democrazia finora concepita.

In una delle giornate più nere e convulse della recente vita parlamentare, nello scambio di accuse tra una maggioranza farlocca e una minoranza attonita e battagliera, cui non resta che la ridotta dell'Aventino in commissione, più a segno di tutte va forse la freccia lanciata via tweet da Nunzia De Girolamo, una delle spodestate (a suo tempo) per reato di lesa maestà renziana: «Qualcuno può dire a Renzi che la democrazia prevede il voto del popolo?». L'arroganza espressa in queste ore dal premier e dalla sua corte dei miracoli (miracolati) trova infatti questa inquietante linea d'ombra che la pone al confine del lecito, ben oltre il limite di tollerabilità. Nessuno ha votato questo governo, la maggioranza è tale in virtù di artificio tecnico, leggi premio di maggioranza («il premio di Bersani», ricorda beffardo Elio Vito) e, come rileva il capogruppo azzurro Renato Brunetta, dei dieci sostituti pidini arrivati ieri in commissione «sei sono abusivi». Essendo Morani, Gadda, Vazio, Covello, Piazzoni ed Ermini, infatti, eletti proprio «con un premio di maggioranza incostituzionale».

Assodato ciò, quel che non doveva accadere accade. S'insediano i dieci piccoli indiani di Renzi che garantiranno un rapido percorso dell' Italicum in commissione (oggi l'indicazione dei relatori d'aula), le opposizioni via via abbandonano i lavori - tranne Scelta civica che dichiara di restare «a difesa dei propri emendamenti». Decadono invece le proposte di modifica alla legge elettorale presentate da Forza Italia, M5S, Sel, Lega e FdI, con la speranza grillina di poter «cambiare l' Italicum in aula». Speranza vana, se il governo deciderà, come sembra, di porre la questione di fiducia. «Ancora presto per parlarne», nicchia la ministro Boschi. Ma la battaglia presto si sposterà proprio su questo triste epilogo, cui Brunetta pone già uno scudo difensivo: «Renzi non ha più i numeri, perciò vuole mettere la fiducia, ma noi glielo impediremo con il voto segreto, anche sulla votazione finale». Ipotesi che inviperisce la Boschi: «Credo che non sia comprensibile chi oggi ha invocato il voto segreto a meno che non ci sia una qualche forma di imbarazzo di Forza Italia su una legge elettorale già votata in Senato». Replica di Brunetta: «Cara Boschi tu non vuoi il voto segreto perché temi di andare a casa...».

In effetti, che sull'approvazione dell' Italicum - Deportellum lo definirà il capogruppo forzista ironizzando sui deputati «deportati» - si possa andare a un passo dalla fine della legislatura, è sensazione che ieri permeava buona parte del Pd. A cominciare da Cuperlo, uno dei deportati («Non l'ho mai chiesto!», si ribellava il poveretto). Messi con le spalle al muro, certi come sono della non riconferma, oltre un centinaio di deputati (stima di Rosy Bindi) potrebbero infatti decidere di far cadere Sansone con tutti i filistei. Alla faccia delle rassicurazioni del «vice» Guerini: «Nessun pericolo per il governo».

Così ieri il premier ha cercato invano di tenersi fuori dalla mischia, dopo aver provocato il terremoto. Appellandosi, in modo surreale, proprio alla sua scarna concezione della democrazia: «Abbiamo discusso in tutte le sedi, fermarsi ora significherebbe consegnare l'intera classe politica alla palude. Avanti su tutto!». Concetti risaputi e ribaditi da tutti i suoi fedeli, con Guerini che arrivava al punto di definire l'Aventino una «cagnara strumentale che non capisco». Gliela facevano intendere però, una dopo l'altra, le messi di accuse e rispostacce.

Sel tacciava il Pd di «stile sovietico», la Lega parlava di «marionette», e ancora il pungente Brunetta a denunciava senza sosta la «palude di Renzi, autoritaria e peronista, che deporta i parlamentari che non sono d'accordo, fatto democraticamente aberrante e costituzionalmente inaccettabile». Finiva sotto le ruote travolto anche Guerini, «esecutore di un dittatorello di provincia».

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