Il nome di Vladimir Putin non compare mai nei Panama papers, a differenza di una dozzina di ex leader mondiali oppure in carica, ma tutto il mondo è convinto del contrario. I giornaloni sparano la foto del presidente russo e mettono in secondo piano quella del capo dello Stato argentino, ucraino o del premier islandese beccati con il malloppo all'estero. Non è escluso che pure il nuovo Zar sia stato attirato dai paradisi fiscali, ma il debole legame sarebbe l'amico violoncellista di quando San Pietroburgo era sovietica e si chiamava Leningrado.
Oltre a qualche manager ed un ex agente del Kgb, come Putin, identificati dai Panama papers.Non a caso il Cremlino ha replicato parlando di «Putinofobia», ma facendo capire che dietro alla gigantesca fuga di documenti potrebbero esserci manine esperte d'Oltreoceano. I Panama papers rischiano di trasformarsi in una nuova battaglia in stile guerra fredda fra Mosca e Washington. Forse una «vendetta» a scoppio ritardato dopo il caso di Edward Snowden, che ha messo in piazza i segreti della National security agency americana e alla fine ha ottenuto asilo in Russia. L'ex esperto informatico dei servizi Usa ha sottolineato ieri con un tweet «la più grande fuga di notizie della storia sulla corruzione» riferendosi ai documenti panamensi.«Questa Putinofobia all'estero ha raggiunto un tale livello che in concreto è un tabù dire qualcosa di buono sulla Russia» ha dichiarato ieri, Dmitri Peskov, portavoce del Cremlino aggiungendo che i Panama papers non contengono «nulla di concreto e nulla di nuovo» sul presidente russo. Anche la moglie del portavoce, Tatiana Navka, il figlio del ministro per lo Sviluppo Economico Alexei Ulyukayev, l'ex consorte del vice sindaco di Mosca Maxim Liksutov, il nipote del segretario del Consiglio di Sicurezza russo Nikolai Patrushev, il figlio del vice ministro dell'Interno Igor Zubov nonché governatori e deputati sono saltati fuori negli 11 milioni di documenti resi pubblici.
Tutti, però, si sono concentrati su Putin. «Sebbene non compaia per noi è chiaro che l'obiettivo principale di questa fuga di notizie è il nostro presidente, soprattutto in vista delle elezioni parlamentari e presidenziali» secondo Peskov. In settembre si voterà in Russia per le legislative e fra due anni per il Cremlino con Putin ancora in testa nei sondaggi. Il portavoce del nuovo Zar è andato anche oltre puntando il dito contro il Consorzio internazionale del giornalismo investigativo (Icij) con sede a Washington, che ha reso noti i Panama papers. «A Mosca sappiamo bene chi ne fa parte. Ci sono molti ex rappresentanti del Dipartimento di Stato, Cia e altri servizi speciali» ha «sparato» Peskov. Difficile credere che il giornalista dell'Espresso, Leo Sisti, l'unico italiano del gruppo internazionale sia un agente della Cia, ma dietro alla dichiarazione russa intrisa di propaganda c'è dell'altro. Il Consorzio è finanziato pure dalla Open society foundation di George Soros, che dai tempi di Milosevic ha fomentato le rivolte anti Mosca nell'Europa dell'Est dalla Serbia fino all'Ucraina e alla Georgia.
Per questo motivo la presidente della commissione anti corruzione della Duma, il parlamento di Mosca, Irina Yarovaya, ha ha puntato il dito contro «gli instancabili padri delle rivoluzioni colorate» allarmati dalle vittorie di Putin soprattutto all'estero.E bollato senza mezzi termini i Panama papers: «Il numero elevato di attacchi da parte degli organi dell'informazione contro il presidente russo è un'iniezione di veleno nella speranza che almeno una piccola dose avrà effetto». Il Cremlino è convinto che i documenti siano saltati fuori adesso per denigrare il presidente dopo «i successi dell'esercito russo in Siria e la liberazione di Palmira dallo Stato islamico.
La Casa Bianca tace, per ora, ma non è escluso che ci saranno altre ondate di rivelazioni grazie ai Panama papers o nuove fughe di notizie. Un modo subdolo, ma allo stesso tempo abile di combattere la guerra fredda non dichiarata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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