La resa dei conti potrebbe arrivare entro una settimana. Non solo con Bruxelles, ma all'interno del governo. Giovanni Tria si trova infatti in una scomodissima posizione, stretto com'è tra l'incudine di un'Europa che vuole imporre misure correttive all'Italia per non far deragliare i conti, e il martello rappresentato da Matteo Salvini, che continua a battere su un concetto: l'austerity mal si concilia con la crescita economica. Quindi, niente tasse. E nessun diktat comunitario.
Il ministro dell'Economia è rientrato ieri dalla capitale belga senza essere riuscito a far digerire, nè alla Commissione Ue nè all'Eurogruppo, le indicazioni fornite sulla salute dei conti pubblici tricolori. Anzi, l'insoddisfazione è talmente alta da sostanziarsi nella richiesta non di una, ma di ben due manovre riparatorie così da scongiurare l'apertura di una procedura d'infrazione per debito eccessivo. In assenza di aggiustamenti, il prossimo 9 luglio potremmo essere il primo Paese dell'Unione a subire una sanzione di questo tipo. La preoccupazione degli eurocrati non riguarda infatti solo l'anno in corso: si estende fino al 2020, quando verranno al pettine i nodi legati alla ricerca di 23 miliardi al posto dell'aumento dell'Iva, il conto della flat tax e la correzione strutturale del deficit dello 0,6% del Pil, cioè altri 10,8 miliardi. Il tempo dato all'Italia è strettissimo: sette giorni per passare dalle parole ai fatti, a quelli che il Comitato economico e finanziario del Consiglio Ue chiama «elementi», termine tecnico che include sia dati che misure. Il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, è stato chiaro: «Serve una correzione dei conti, ora la palla passa all'Italia».
Tria è dunque messo alle strette, anche se sembra voler far resistenza: «Porto dati, mica chiacchiere, abbiamo maggiori entrate e maggior risparmi». È sufficiente una riduzione del deficit di 0,2 punti rispetto a quanto indicato dal Def? «Dobbiamo raggiungere il deficit che vi ho indicato, che è anche compensativo sul mancato raggiungimento dell'obiettivo del 2018, poi come lo raggiungiamo... quello è l'obiettivo. Noi pensiamo che lo raggiungiamo senza variazioni legislative». Cioè senza far manovre. Il problema è che, piuttosto compattamente, l'Europa non si fida di noi. Al punto da non escludere l'ipotesi di chiedere a Roma il congelamento di una quota da mettere a garanzia in caso non vengano rispettati gli impegni sul 2019. Tanto diffidenza può essere messa in relazione anche con le bordate anti-Ue che arrivano in continuazione dal leader della Lega. «Voglio proprio sperare che l'Unione Europea non pensi a multe, infrazioni, o ci chieda di aumentare le tasse o di mandare in pensione la gente a 70 anni, perché la nostra risposta sarà un educato no». Il vicepremier ha in testa la rivoluzione fiscale à la Trump, citato come modello perché all'Italia serve «un taglio forte alle tasse». Alla luce del piano credibile di riduzione del deficit e del debito chiesto dall'Ue anche per l'anno prossimo, spazi di manovra per varare la flat tax, una misura non disprezzabile ma assai costosa, non sembrano essercene. Salvini però insiste. Anche sui mini-Bot. E a Tria, che li considera «una cattiva idea», replica così: al ministro dell'Economia, «la prossima settimana chiederemo se ha idee più efficaci per pagare i debiti nei confronti delle famiglie e delle imprese. Quello - ha proseguito - è un provvedimento approvato all'unanimità dal Parlamento italiano. Da ministro non dico se mi piace o non mi piace ma, se me lo chiede il Parlamento, lo faccio». Parole che lasciano presagire uno scontro aperto tra chi - Tria - deve far quadrare i conti; e chi - Salvini - sembra voler affrontare Bruxelles a muso duro, forte anche dei sei miliardi di euro l'anno che «l'Italia dona alle casse dell'Unione europea».
Sperare che l'Ue conceda più tempo a Roma per sistemare le cose appare al momento poco realistico.
A fine luglio si sarebbe fuori tempo massimo, perché a Bruxelles si vuole preparare tutto affinchè l'Ecofin nella riunione del 9 luglio possa decidere eventualmente l'apertura della procedura contro l'Italia. A meno che al premier Giuseppe Conte, la prossima settimana nella capitale belga per il Consiglio europeo, non riesca un miracolo di mediazione.
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