Il prezzo più alto lo pagano le partite Iva

Fin dall'inizio era apparso chiaro a molti che la pandemia sanitaria avrebbe presto favorito una deriva statalista e che tutto questo avrebbe aggravato la crisi economica conseguente all'adozione del lockdown

Il prezzo più alto lo pagano le partite Iva

Fin dall'inizio era apparso chiaro a molti che la pandemia snitaria avrebbe presto favorito una deriva statalista (data la cultura politica dell'attuale governo) e che tutto questo avrebbe aggravato la crisi economica conseguente all'adozione del lockdown. Nelle ultime ore i dati di Bankitalia sono venuti a confermare un impoverimento generalizzato che colpisce soprattutto il ceto medio e si concretizza in disoccupazione, fallimenti, sospensioni dei mutui ipotecari.

Ovviamente a patire più direttamente le conseguenze dello sfacelo (la diminuzione del Pil sarà superiore al 10%) sono le partite Iva. Quanti vivono dei propri profitti quotidiani sono stati bloccati per settimane e ancora oggi prevale un clima del terrore che ostacola quanti vogliono lavorare e intraprendere. Le attività artigiane, commerciali e industriali hanno pagato un prezzo altissimo. Insieme a loro stanno soffrendo tantissimo i lavoratori dipendenti del privato, che in qualche caso non hanno più un'occupazione (quando non avevano un contratto a tempo indeterminato) e in altre circostanze stanno attendendo quel contributo pubblico che l'Inps tarda a erogare. Chi riflette su questa società sofferente e in declino tende a puntare il dito contro il comportamento di tanti connazionali che hanno ridotto i consumi (un 30%, ad esempio, non andrà in vacanza), dal momento che hanno meno soldi e non hanno alcuna certezza sul futuro. Quello che di rado si coglie, però, è quanto sia difficile ripartire in un paese che non soltanto non sa uscire dall'emergenza, ma che neppure vuole mettere in discussione la tassazione da esproprio e la rete soffocante di norme che impediscono la libera iniziativa.

Adesso il settore privato è in ginocchio, ma è importante capire che se qualcosa non cambia molti altri pagheranno un prezzo elevato. Se non si scommetterà sulla libera impresa e sulla sua capacità di produrre ricchezza, pure l'universo dell'impiego pubblico pagherà un prezzo molto alto. Se le imprese chiudono, lo Stato non può incassare le risorse necessarie a pagare i propri dipendenti. Per giunta l'area dei dipendenti statali non solo è molto estesa (al di sopra dei 3 milioni di addetti), ma addirittura gli statali in pensione l'anno prossimo saranno più numerosi di quelli attivi. È chiaro che il costo complessivo della funzione pubblica è esorbitante e questo ostacola ogni possibile rinascita.

Va dunque valorizzato quel ceto medio che produce ricchezza senza disporre di un posto fisso, ma dovendo ogni giorno soddisfare il pubblico.

Per giunta, una diversa attenzione a questo universo sarebbe negli interessi pure della restante parte del Paese, che non può illudersi di vivere in eterno al riparo da ogni rischio e proprio per questo motivo non può e non deve ostacolare quelle riforme strutturali, verso una maggiore libertà d'iniziativa e verso una crescente responsabilizzazione di tutti, che sono necessarie e non vanno più rinviate.

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