N on si può dire che la rivolta dei gilet gialli sia stata una sorpresa per gli intellettuali francesi. Per restare agli ultimi mesi, senza tornare addirittura al film L'odio (1995) di Mathieu Kassovitz, due romanzi avevano previsto quasi perfettamente cosa sarebbe accaduto. Il primo è Aprile (Fandango) di Jérémie Lefebvre, uscito nel 2017. Un piccolo incidente fa scoppiare la rabbia. I perdenti della globalizzazione, infuriati, abbandonano le periferie delle grandi città e invadono il centro abitato dalla borghesia cosmopolita. Precari, disoccupati, lavoratori non qualificati tolgono ogni diritto ai tecnocrati e professionisti. È la seconda rivoluzione francese. Altro romanzo profetico del 2017 è Guerriglia. Il giorno in cui tutto si incendiò (Signs) di Laurent Obertone. Costruito su documenti dei servizi segreti, il libro prefigura una guerra civile su base razziale e religiosa. I ghetti islamici sono pronti a prendere il potere. Un semplice sopralluogo della polizia in un quartiere multietnico di periferia si trasforma in una tragedia: la banlieue s'incendia, le fiamme appiccate dagli immigrati si propagano di città in città e la Repubblica, alla fine, esplode. Scenari simili compaiono ne La Guerre Civile Qui Vient di Ivan Rioufol, editorialista del quotidiano conservatore Le Figaro. Ma forse le opere più importanti per capire cosa succede a Parigi sono i saggi firmati dal geografo Christophe Guilluy. Fracture françaises e La France périphérique hanno evidenziato l'esistenza di due Paesi diversi in prevedibile frizione tra loro. Da una parte ci sono le città a vocazione cosmopolita, dove prospera una borghesia danarosa impiegata nelle professioni vecchie e nuove o nel campo dei servizi (ormai tecnologici). È questo l'elettorato che si contendevano Repubblicani e Socialisti prima dell'avvento di Emmanuel Macron. La sintesi perfetta, che ha sbancato i partiti tradizionali. Intorno alle grandi città orbitano, nelle banlieue, gli immigrati cioè manodopera a basso costo e senza garanzie. Dall'altra c'è l'immensa provincia francese che si sente stremata. La globalizzazione non è stata un'opportunità. I piccoli burocrati temono che la propria pensione valga la metà a causa dell'euro. Gli operai hanno visto delocalizzare le aziende in cui lavoravano. I neolaureati si trovano a vivere da precari fino ai quarant'anni, l'agricoltore è spiazzato dai costi e dalle direttive dell'Unione europea. È probabilmente questo blocco sociale che ha indossato il gilet giallo. «La classe media occidentale», sintetizza Guilluy in un'intervista a Le Figaro: «Operai, contadini, impiegati, quadri superiori». Il rincaro dei carburanti, la scintilla che ha scatenato la rivolta, è stato trattato dalla classe dirigente come un problema ecologico: meno automobili, meno inquinamento. Ma «i ceti popolari oggi vivono sempre più lontano dal posto di lavoro e hanno un bisogno vitale dell'auto» insiste il geografo. Le élite ignorano la situazione. Conclusione di Guilluy: «È la prima volta nella storia che c'è una perdita di contatto così grande fra l'alto e il basso della società».
In Italia sarebbe possibile uno scenario simile? Probabilmente no, perché Movimento 5 stelle e Lega Nord hanno funzionato anche come valvola di sfogo elettorale. Se non fosse andata così, forse avremmo i Forconi per le strade.
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