Lo psicodramma dei magistrati: "Ormai la gente se ne frega di noi"

Dopo anni di consenso i magistrati sono convinti che la gente li odi. La storia della giustizia italiana precipitata in una crisi di identità

Lo psicodramma dei magistrati: "Ormai la gente se ne frega di noi"

Ormai pensano che la gente li odi. O che, nel migliore dei casi, li disprezzi, li senta lontani, se ne freghi di loro. Per i giudici italiani la giustizia dell'era Renzi coincide con una crisi di identità senza precedenti. Una categoria che per vent'anni si è specchiata nella sua immagine riflessa nel sostegno popolare, con i girotondi intorno ai palazzi di giustizia a sostegno della crociata contro Berlusconi, si ritrova improvvisamente attaccata, vilipesa, divisa al proprio interno. E di fronte non c'è l'eterno arcinenico, ormai familiare nelle sue forze e nelle sue debolezze, ma un nemico nuovo, giovane, apparentemente invulnerabile agli strumenti consueti. Per dirla tutta: se oggi un Borrelli mediaticamente redivivo lanciasse contro Matteo Renzi la sfida del «resistere, resistere, resistere» invece che scuotere le coscienze di una nazione ricadrebbe nel vuoto, come spesso accade all'arma della retorica quando si trova a fare a botte con quella del dileggio, incarnata da quel «brrr... che paura» con cui Renzi ha superato in tre parole tutte le asprezze inanellate dal Cavaliere contro le toghe in questi vent'anni di trincea.

Per capire davvero cosa stia accadendo nei rapporti tra giustizia e potere politico bisogna tenere gli occhi un po' strabici, insieme sull'oggi e sul passato. Del passato fa parte la lucida profezia di Francesco Greco, il pm del pool Mani Pulite che nel 1997 finì sotto procedimento disciplinare - a Palazzo Chigi c'era Romano Prodi, il ministro era Giovanni Maria Flick - per avere detto fuori dai denti «non mi metto a piangere se è la sinistra a fare quello che neanche a Craxi era riuscito». Ma poi ci vuole un occhio anche sull'oggi, di cui il ritratto migliore sono le centinaia e centinaia di messaggi che agitano quei corridoi virtuali che sono le correnti della magistratura. E dove è ancora forte l'indignazione di chi ritiene di trovarsi di fronte, nel Patto del Nazareno Renzi-Berlusconi, a una riedizione strisciante della Bicamerale, a un grande complotto trasversale della politica per fare finalmente i conti con lo strapotere mai accettato della magistratura. Ma, accanto a questa lettura «alta», c'è la sensazione - ben più angosciante - di chi sente rivoltare contro di sé l'antipatia dell'uomo comune e si vede additato come casta. Di chi, insomma, vede svanire la propria figura di eroe sociale per ritrovarsi nei panni del giudice di Fabrizio De André, quello che suscita lo sghignazzo popolare se il gorilla lo trascina per un orecchio in un prato.

E, forse, conviene partire da qui, perché è qui, nella scoperta dell'improvviso fossato tra il proprio orgoglio e il comune sentire, che la magistratura oggi mostra più vistose le proprie divisioni. Certo, ci sono anche gli increduli, quelli per cui l'acquiescenza degli italiani di fronte alla svolta renziana può essere figlia solo della disinformazione. Scrive il giudice Alberto Avenoso: «Perché non fare un'azione eclatante comprando una pagina di un grande quotidiano e esponendo analiticamente tutte le argomentazioni, i fatti, le circostanze?». E la sua collega Caterina Mazzitelli: «Si tratta di parlare apertamente del nostro lavoro, con un linguaggio semplice e accessibile a tutti... Esiste un'opinione pubblica fatta anche di buon senso e di buone cose, anche di buoni sentimenti». Pie illusioni su cui cala il gelo di un altro giudice, Sergio Palmieri: «La gente non è stupida, ma semplicemente se ne stracatafotte dei nostri problemi. La gente vuole il sangue della casta e noi siamo identificati come la casta. Nessuna spiegazione al mondo farà loro cambiare idea. Lo sanno come stanno le cose, ma vogliono che soffri (sic) pure tu come loro».

Ecco, la svolta è qui, nella mail di Palmieri. «La gente se ne stracatafotte». Addio girotondi, agende rosse, popoli viola. La mostruosa abilità comunicativa del capo del governo, le bombe mediatiche sugli stipendi da 240mila euro e i 45 giorni di ferie hanno aperto una breccia senza ritorno. Di questo, tranne pochi illusi irriducibili, ormai i magistrati sono consapevoli. Ma è sul come reagire che la frattura è vistosa. Ci sono quelli che si rendono conto che certi privilegi sono antistorici: «Nel terzo millennio e nelle condizioni attuali - scrive Marco Patarnello - non è possibile difendere la sospensione dei termini processuali dal primo agosto al 15 settembre. Difenderla o dare l'impressione di difenderla è stato un suicidio mediatico». Ma su questa minoranza di realisti piombano critiche, sarcasmi, accuse di opportunismo, «anime candide ed umili sempre pronte alla pubblica disponibilità alla rinuncia e a vergognarsi, sovente, del nulla». La maggioranza difende lo status a spada tratta. Visto che la gente ci odia, allora tanto vale che badiamo ai nostri interessi, come scrive Antonio Salvati: «Non dobbiamo temere di apparire dei fannulloni privilegiati. Ci vedono già così». E c'è anzi chi rivendica lo status come se fosse il tratto riconoscibile, l'uniforme del proprio potere: come Massimiliano Siddi, che se la prende con la «rancorosa e livida invidia sociale» del «popolo bue», e scrive testualmente: «A ogni livello e in qualsiasi epoca, il rango farà sempre parte del potere e il popolo guarda con diffidenza e incredulità a un potere che non pretende il rango che gli appartiene». Senza i benefit saremmo comuni mortali.

Questo è l'oggi, e solo i prossimi mesi diranno quale animo prevarrà nel corpo diviso e multiforme della magistratura italiana.

Se il realismo (che oggi qualcuno liquida come «autoflagellazione») prevarrà, e magari troverà buona sponda in quel gusto del quieto vivere che per i primi cinquant'anni di Repubblica ha accompagnato le toghe italiane; o se uno scontro frontale, a suon di comunicati stampa e avvisi di garanzia, metterà fine alla pratica. Ma anche per avere qualche idea sull'esito bisogna tenere aperto l'altro occhio, quello sul passato: che aiuta a capire la genesi di questo inedito bailamme, e a riconoscerne gli ingredienti.

(1. continua)

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