Pure Verdini vittima della giustizia anti Renzi

Stavolta non è un compagno di partito di Matteo Renzi, non è un suo parente stretto, non è un manager di sua fiducia: a finire nel mirino della magistratura è un dirigente di un altro partito, Forza Italia. E quindi la cosa non dovrebbe toccare più di tanto il presidente del Consiglio. Peccato che il politico di cui ieri la Procura di Roma ottiene il rinvio a giudizio sia quel Denis Verdini che di Renzi è conterraneo, e di cui è soprattutto il principale interlocutore per conto del centrodestra sul terreno delle riforme istituzionali. E quindi anche il processo a carico di Verdini finisce inevitabilmente nel conto in rapida crescita delle iniziative giudiziarie che intralciano il cammino del premier e condizionano il suo scontro frontale con i giudici. Come dimostrano peraltro le subitanee reazioni dei 5 Stelle: «E ora chi ce la riscrive la Costituzione?», twittano i grillini da Montecitorio, e poi il deputato Di Battista rincara la dose con un appello agli elettori del Pd: «Aprite gli occhi, come potete restare in silenzio nel momento in cui il vostro partito viene infiltrato da certi personaggi?».

Scelta dei tempi a parte, la vicenda per cui il giudice preliminare ha accolto la richiesta del sostituto procuratore Erminio Amelio di rinviare a giudizio Verdini e altri due imputati è quella già nota da tempo - a partire da un servizio del Tg La7 - della casa romana che l'Enpap, l'ente di assistenza degli psicologi, comprò nel 2011 da un imprenditore e parlamentare di Fi, Riccardo Conti, che l'aveva acquistata poco prima per un importo robustamente inferiore. In sostanza, Conti compra la casa per 26 milioni e la rivende per 44 e mezzo. Un affarone per lui, un salasso senza spiegazione logica per la cassa degli «strizzacervelli». Un imbroglio, secondo la Procura. E per questo in maggio il pm Amelio aveva chiesto il processo sia per Conti che per il presidente dell'ente di previdenza, Angelo Arcicasa con l'accusa di concorso in truffa ai danni dell'Enpap.

Oggi vengono mandati tutti a processo, Verdini compreso. Con la piccola differenza che con il pasticcio della casa di via della Stamperia Verdini non c'entra niente. A dirlo non è lui ma la stessa Procura della Repubblica, che nel documento con cui a maggio aveva chiesto il processo a carico del «riformatore» forzista non aveva attribuito a Verdini alcun ruolo nella trattativa o nell'accordo tra Arcicasa e Conti.

A Verdini viene contestata l'accusa di finanziamento illecito per un episodio venuto a galla quasi accidentalmente nel corso della stessa inchiesta. Ma che, in un'epoca in cui sulle case dei politici si è scritto e scavato assai, lo aveva mediaticamente calato nel pasticcio del palazzo improvvisamente cresciuto di prezzo. E anche ieri, quando la notizia del rinvio a giudizio entra in circolazione, a Verdini tocca intervenire con una dichiarazione per rimarcare la differenza: «Mi viene contestato esclusivamente il reato di finanziamento illecito ai partiti, per una vicenda che nulla ha a che vedere con la compravendita in questione».

L'accusa di finanziamento illecito riguarda invece un milione di euro che Conti avrebbe girato a Verdini. Verdini ammette il passaggio di soldi, ma spiega che non c'entravano né il palazzo né la politica: «L'accusa si riferisce a una penale regolarmente trattenuta per il mancato rispetto di un contratto fra me e il senatore Conti, di natura diversa ed estranea alla vicenda per la quale lo stesso senatore Conti viene rinviato a giudizio».

E aggiunge: «Invito i mezzi d'informazione ad avere maggior cura nelle notizie che vengono date, senza utilizzare scorciatoie mediatiche, perché in questo modo s'incorre in falsità dalle quali userò ogni strumento consentito per difendermi».

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