Roma - In principio fu Beppe Grillo che in pieno scandalo Mps, con la banca travolta dalle perdite sui derivati Alexandria e Santorini, si presentava alle assemblee dell'istituto toscano berciando: «La mafia è a Siena! Qui siamo nel cuore della peste rossa e del voto di scambio». Da un lato la purezza del tribuno e dei suoi accoliti, dall'altro la corruttela del mondo politico-finanziario.
Veicolate attraverso i potenti mezzi della Casaleggio & Associati, queste convinzioni sono diventate anche il pane quotidiano dei parlamentari pentastellati che in più occasioni si sono autonominati difensori del popolo e dei risparmiatori coinvolti nei crac bancari da Banca Etruria in poi. «Il decreto salvabanche va ritirato! Questo governo tutela solo i banchieri», twittò Grillo nel febbraio 2016, imitato dai suoi fedelissimi Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista che alla Camera imperversavano contro la norma che recepì il bail in nell'ordinamento italiano. «Il governo in 25 minuti ha fatto un decreto per salvare i banchieri e ha azzerato i risparmi di oltre 140mila famiglie italiane. Persone che si erano fidate dei manager di quattro banche che li avevano rassicurate su dove investire i risparmi di una vita. Questo governo tutela solo i banchieri, questo decreto va ritirato», dichiararono all'unisono i due portavoce. Allora si trattò di un decreto domenicale, il 7 gennaio, invece, è stata la volta del decreto notturno ma sempre un salvataggio si profila all'orizzonte, quello della genovese Carige.
I toni della Lega, in fondo, non si sono mai discostati molto da quelli dei grillini. Nel febbraio di due anni fa quando l'Unione europea impose un ulteriore rafforzamento patrimoniale per la periclitante Mps, anche Matteo Salvini - fino ad allora impegnato nella battaglia anti-euro - si riscoprì anche apostolo della tutela del risparmio. E, come nel caso degli attuali colleghi di governo, anche allora il bersaglio preferito erano Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. L'esecutivo «tiene nascosti i nomi di quelli che si sono intascati milioni di euro dalle banche senza restituirli: i banchieri vengono salvati e vengono aiutati gli amici degli amici», dichiarò Salvini a proposito del decreto che introduceva a garanzia pubblica sulle cartolarizzazioni. «Al governo abbiamo dei complici, delle marionette, dei burattini di Soros, della Merkel e di Francoforte. Sentire gli sproloqui di Draghi, Calenda e Padoan mi fa vergognare del fatto che siano gli italiani a pagare lo stipendio a queste marionette che difendono un euro ed un'Unione europea che stanno massacrando l'Italia ed il futuro degli italiani», aggiunse minacciando la presa del Palazzo.
Pochi mesi dopo furono Di Maio e Di Battista ad agitare nuovamente le masse. Anche in quel caso si trattava di un altro decreto bancario: quello che garantì il salvataggio delle banche venete. «Dopo 4 anni passati a dirci che non c'erano soldi per il reddito di cittadinanza, per le forze dell'ordine, per le imprese italiane, per il fondo per le disabilità, il governo ha cacciato fuori dal cilindro 20 miliardi. Complimenti!», affermò colui che sarebbe diventato ministro dello Sviluppo e del Lavoro solo un anno più tardi. Di Battista, come da copione, rincarò la dose. «Poi troviamo casi come quelli della Boschi o Mps, spolpata dal Pd e salvata dal Pd con soldi nostri, e sui giornali si fa finta di nulla. Ancora aspettiamo la querela della Boschi: sono bugiardi questi!», chiosò ricordando i potenziali conflitti di interessi dell'allora maggioranza Pd.
Oggi le parti si sono rovesciate, ma la narrazione è rimasta sempre la stessa.
Come in quei casi, anche in questo l'intervento pubblico viene invocato a difesa del risparmio perché è chiaro che, se dovessero essere azzerate azioni e obbligazioni subordinate, bisognerà adoperarsi per il ristoro dei piccoli risparmiatori. Nonostante l'ingente stanziamento della manovra 2019, però, quelli delle banche «risolte» stanno ancora aspettando. Anche se al governo ci sono loro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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