Non c'è del marcio in Danimarca. A marcire anzitempo è l'acerbo e malriuscito innesto del Pd, nelle sue strutture periferiche come in molte delle sue ramificazioni centrali. Il Nazareno unico centro di potere del Paese si sta così rivelando il tallone d'Achille di Matteo Renzi, che negli ultimi giorni viene descritto teso e preoccupato.
Non ingannino operazioni di facciata e veline di Palazzo Chigi: la questione morale piombata sul quartier generale pidino sta facendo maturare una radicale exit-strategy prima che la Xylella fastidiosa , il punteruolo del malaffare che corrompe gli eredi dell'Ulivo, si espanda dal corpaccione molle del partito alla sua chioma. A questo sta lavorando il premier più che a ogni altra cosa; come diceva Craxi, primum vivere . Si cerca il rilancio in grado di rovesciare lo scacco cui il Re è sottoposto. Al centro della strategia è così tornata impellente l'idea di rovesciare il Pd come un calzino, nella prospettiva di quel nuovo partito (chiamato «della Nazione» per comodità) che si presenterebbe «alieno» dalle colpe dei padri. Due i passaggi cruciali, in vista del traguardo: il risultato delle Regionali (che per ora non preoccupa) e l'approvazione dell' Italicum , anche a costo di perdere quelle che Renzi ormai considera zavorre.
Siamo a un punto di svolta, come viene confermato dalle parole usate dalla minoranza interna del Pd. L'ex segretario Bersani, in particolare, per la prima volta lancia un messaggio inequivocabile sull'eventuale questione di fiducia posta sulla contestatissima legge elettorale: «Stavolta prima viene il Paese, poi la Ditta». Bersani si dichiara offeso dalla mancanza di fiducia mostrata da Renzi nel proprio partito, come se ormai lo guardasse con occhi da estraneo. E i numeri in Parlamento per approvare l' Italicum , avverte l'ex leader, «non sono convinto che ci siano». A questo, per la verità, il premier aveva già pensato, prova ne sia l'attenta gestione delle vicende interne dell'alleato minore, l'Ncd di Alfano. Ormai un satellite dall'orbita stabile, e contenitore capace di attirare prima o poi i parlamentari delusi del centrodestra. L'estromissione completa della Di Girolamo, non solo dal governo ma presto anche dalla guida del gruppo parlamentare, elimina l'unica voce che spingeva ancora sulla linea dell'unificazione con Forza Italia.
Ma se l'Ncd per Renzi è il barcone per i profughi del futuro, diventa da subito cruciale il peso del gruppo Misto, e non solo per i numeri. Servirà anch'esso da camera di purificazione o, se si preferisce, da purgatorio, per la gran mole di transfughi di questa legislatura. I numeri parlano da sé: dei 38 deputati, 15 sono i fuoriusciti grillini in attesa di ricevimento a corte: dieci fanno capo ad Artini, altri cinque «cani sciolti». Un'altra quindicina dei «misti» sono già stabilmente in maggioranza, mentre tre leghisti e tre ex Pdl, Pd e Sc sono considerati «recuperabili». Il cammino di redenzione già svolto dagli esuli di Sel capeggiati da Migliore - un salto nel Misto, il secondo nel Pd - è l'esempio da seguire. Similare la situazione al Senato: dei 32 iscritti al Misto vanno esclusi i sette di Sel. Sedici sono i grillini in «trepidante attesa» (chi più chi meno), cinque degli altri sono già stabilmente in maggioranza, due i «recuperabili» cui si sono aggiunti da poco la coppia Bondi-Repetti (non per compiere analogo percorso di purificazione). Dalla singolare natura del gruppo Misto, luogo di transito e mutazione genetica, potrebbe arrivare non solo il soccorso per il voto sull' Italicum .
Ma anche il lievito di crescita del nuovo partito vagheggiato da Renzi ancor prima che il premier veda come unica via d'uscita il voto anticipato.Elezioni col « vizietto Italicum », l'unica droga - assieme all'Lsd - capace di assicurare il perdurante effetto allucinogeno voluto da Renzi: che la maggioranza degli italiani straveda per lui.
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