Quell'inutile cerimonia delle consultazioni momento di gloria dei peones senza voti

Quanti pareri superflui sulla crisi, dalla Boldrini ai rappresentanti di se stessi

Quell'inutile cerimonia delle consultazioni momento di gloria dei peones senza voti

Fermi tutti, il Paese trattiene il respiro, l'attesa è solenne: va consultato «l'esponente della componente Alternativa Libera Possibile del Gruppo Misto della Camera dei deputati». Venti minuti di tempo fissati in calendario per la sua udienza dal capo dello Stato, che deve sentire e soppesare anche il suo parere prima di decidere le sorti del governo nazionale. C'è poco da fare, il rito è bizantino ma la prassi è consolidata, ad ogni crisi di governo tocca il giro di consultazioni di tutte le componenti parlamentari fino all'ultimo gruppuscolo infinitesimale, addirittura al singolo esponente anche se del tutto irrilevante per la scelta del nuovo premier.

La partita si gioca all'interno del Pd (Renzi e le correnti), più altri tre o quattro partiti al massimo, gli altri contano come il due di briscola. Quale impellente necessità c'è, allora, per spendere un'intera giornata a consultare la «Rappresentanza parlamentare della minoranza linguistica della Valle d'Aosta» (arrivano oggi al Quirinale) o gli altoatesini della «Südtiroler Volkspartei», sei parlamentari in tutto? Quale fondamentale contributo alla soluzione della crisi di governo potrà arrivare dall'«Esponente della componente Unione Sudamericana Emigrati Italiani» del gruppo Misto, atteso da Mattarella oggi a mezzogiorno? E dall'«Esponente della componente Movimento Partito Pensiero e Azione», pronto a salire al Quirinale per essere consultato al pari di Pd, M5s e Forza Italia, arriverà perlomeno un invito ad agire?

La processione dei minipartiti, in certi casi neppure partiti ma solo entità nate in Parlamento da scissioni e cambi di casacca, prevede un'estenuante calendario di incontri di venti minuti ciascuno. Giusto il tempo per i convenevoli e quattro parole, ma siccome sono tanti, si parte alle 10 di mattina e si arriva fino a sera, bruciando un intero giorno utile magari per trovare un successore a Palazzo Chigi, questione che presenta una certa urgenza. Ma il rito è rito, dunque il Quirinale apra le porte, si mettano sull'attenti i corazzieri, arriva l'«Esponente della componente Udc del Gruppo parlamentare Misto della Camera dei Deputati», e dopo di lui c'è da sentire la componente «FARE!-PRI del Gruppo Misto», non prima di aver sentito la delegazione appunto del Misto, nella versione del Senato e poi anche in quella della Camera.

Si va in ordine inverso rispetto alla consistenza numerica (prima i piccoli, poi i grandi), ma per le misteriose alchimie del Palazzo succede che un partito realmente esistente, come Fratelli d'Italia, sia consultato prima - perché meno numeroso - di sigle che esistono solo a Montecitorio, come «Democrazia Solidale» o i «Civici Innovatori», nati dall'esodo degli ex montiani di Scelta civica, senza più una chiara identità politica eppure consultati solennemente, e in posizione pure privilegiata, dal presidente della Repubblica.

Ma oltre ai microgruppi e partitini, l'etichetta richiede che vengono consultati anche i presidenti di Camera e Senato e i presidenti emeriti. È quindi (ri)salito al Colle Giorgio Napolitano, a cui l'esperienza non manca, ma anche la Boldrini e Grasso, nominati per decisione del Pd, neofiti della politica, senza seguito tra i parlamentari.

Grasso, tra i papabili per un governo istituzionale, ha almeno l'occasione per far conoscere la propria disponibilità. La Boldrini, forse, per ricordare che nel caso di un premier donna, bisognerà chiamarla «la presidente» del Consiglio.

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