«Voi non sapete, egregi senatori, che negarci ancora la legge sul Diritto alle origini significa impedirci l'abbraccio con la madre che ci ha generato». Anna Arecchia, presidente del comitato nazionale per il Diritto alle origini biologiche, è arrabbiata e preoccupata.
Sembrava che la battaglia fosse giunta al termine e che finalmente, con l'approvazione della legge, ora arenata in commissione Giustizia, quei figli abbandonati in ospedale e poi adottati potessero, attraverso i tribunali, prendere contatto con le madri naturali, e incontrarle se queste avessero dato la loro disponibilità. Tra pochi giorni saranno sciolte le Camere e se non accadrà il miracolo di una deliberante se ne riparlerà nella prossima legislatura. Un ritardo catastrofico, perché le madri che questi figli stanno cercando sono molto anziane. Sono donne che in molti casi sognano, come i rispettivi figli naturali, di rivedere quel piccolo che abbandonarono da giovanissime, per poi conservare nel cuore pentimento e nostalgia.
La legge attuale stabilisce che l'accesso ai dati di nascita avvenga allo scadere dei 100 anni, che vuol dire mai. Molti tribunali, previo accordo con le madri naturali, stanno concedendo ai figli la rimozione del segreto sulla loro identità, come avverrebbe nei termini della nuova legge. Annamaria Paolino ha saputo il nome della madre undici mesi dopo la sua morte. «I parenti che ho incontrato mi hanno mostrato le sue fotografie e alcuni video e così ho potuto almeno ascoltare la sua voce», racconta emozionata.
L'aveva intuito sin da bambina di essere una figlia adottiva, ma per rispettare il segreto che i suoi non volevano rivelarle aveva tenuto dentro il suo grande desiderio. «I miei genitori non mi dissero nulla perché temevano di perdermi, ma sapere la verità, come dice il Vangelo, ti fa libero, libero di parlare di tutto con tutti, di essere esattamente ciò che sei». Quando era una bambina notava di non somigliare a nessuno della sua famiglia e si sentiva guardata dai parenti come fosse diversa «erano sensazioni, difficili da descrivere, ma erano forti e chiare», ricorda.
E cosi cresceva come un albero che non sa dove sono piantate le sue radici. Aveva bisogno di rispecchiarsi in qualcuno che le somigliasse fisicamente e finalmente le concedesse l'accettazione di cui tutti hanno necessità. «Ho saputo che le fu imposto di abbandonarmi dai suoi genitori ma che sperava di riprendermi appena le fosse stato possibile».
Annamaria spiega che già questa conoscenza dei fatti le ha donato una grande serenità. Voleva verificare e sentire l'esistenza di quell'amore, per riuscire a colmare un vuoto affettivo precoce che impedisce la completa conoscenza di se stessi.
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