L'eroismo ai tempi di Giggino

L'eroismo ai tempi di Giggino

«Rottamare», spiegava Renzi nel 2010, «significa esplicitare la necessità di liberare quei posti nel Parlamento occupati da dirigenti che per tanti anni hanno avuto la loro occasione e non sono riusciti a sfruttarla». Lui e altri cinquanta giovanotti volevano la possibilità di costruire un percorso alternativo a quello fallimentare di quel gruppo di «cariatidi», simbolo di un vecchio potere arroccato all'interno del partito e delle istituzioni. Creare da zero, attraverso una trasformazione radicale, è un'azione che si confà soltanto ad un «fanciullo divino», dotato del dono più prezioso di madre natura: una capacità di autorealizzazione data da un'energia straordinaria e invincibile che evolve per legge naturale fino alla sua completa autonomia. Questo eroe riesce dove gli altri hanno fallito perché dalle sue origini, e a dispetto di ogni difficoltà, progredisce grazie a un impulso istintivo e vitale, che lo conduce inarrestabile verso una crescita cui è destinato. Da larva, il fanciullo divino muta fino a diventare farfalla a prescindere dalle sue indimostrate capacità personali.

La storia dell'umanità e quella dei singoli uomini hanno sempre mostrato nei secoli evoluzioni lentissime, eppure l'archetipo del salvatore, dell'eroe, del fanciullo divino cui tutto è possibile senza farne esperienza non muore mai. Dopo sette anni dal sogno, Renzi ha perso il suo potere agli occhi dell'elettorato perché il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci non si è compiuto. Eppure, nonostante la delusione, anche in questa tornata elettorale è riemerso l'archetipo del salvatore senza macchia. Alla realtà è stata preferita un'altra illusione, il dio-bambino Luigi Di Maio. Anche lui vuole sostituirsi al vecchio sistema per trasformare la società grazie alla sua energia divina e nonostante ignori persino il congiuntivo. Molti elettori sembrano affascinati dalla presunzione di un leader che racconta di un futuro che realizzerà grazie a una forza magica che trascende l'esperienza, la grammatica, i manuali di storia e di medicina per risolvere i problemi cronici degli italiani, della scuola, della politica interna e internazionale, dell'economia e della sanità.

Con Di Maio si sdogana la credenza popolare per cui lo studio, la cultura, l'impegno e la competenza non sono strumenti affidabili e degni di considerazione, lo sarebbero invece l'arroganza, il qualunquismo e il narcisismo.

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