Per la morte di Valentina Milluzzo, la donna incinta di due gemelli morta all'ospedale Cannizzaro di Catania, è stata imputata erroneamente l'obiezione di coscienza.
È stato detto che al Cannizzaro l'equipe del reparto di ginecologia ed ostetricia sarebbe costituita da soli obiettori e il servizio di interruzione volontaria di gravidanza non sarebbe garantito. Ma non è la verità.
Tra i dirigenti medici c'è un non obiettore e un ambulatorio dedicato che è aperto al pubblico ogni giovedì. La triste vicenda di Valentina, morta durante un parto prematuro, è stata strumentalizzata per riaprire il dibattito sull'opportunità, utilizzata da sette ginecologi su dieci, di non praticare l'interruzione di gravidanza, perché incompatibile con principi morali personali. Il numero elevato di obiettori rende più difficile l'applicazione della legge 194, ma si può obbligare un medico ad agire contro la sua volontà?
«Sono obiettore da 40 anni. Ho scelto la specializzazione in ginecologia perché volevo aiutare le donne a mettere al mondo i loro figli. Spesso capita che la gravidanza si faccia attendere e quando con la giusta cura arriva, testimoniata dal battito cardiaco del bambino, è sempre un'emozione». Corrado Pasqua, ginecologo-ostetrico con ventimila parti alle spalle, spiega che i motivi della sua obiezione non sono legati a motivi razionali o religiosi ma emotivi, semplicemente non se la sente, non ce la fa. Segue le sue pazienti durante il percorso ma per l'interruzione le indirizza da colleghi non obiettori. «L'espulsione forzata di un embrione vitale, di cui dalle 8 settimane sono riconoscibili la testa e gli arti, non può lasciare emotivamente indifferenti. È un servizio che va garantito per la sicurezza delle donne, ma non è quello per cui ho scelto la mia professione quando ero ancora un ragazzo, la vita e la cura».
Per un medico interrompere una gravidanza che procede in modo fisiologico non è un atto medico e il carico psicologico è elevato. Lo sanno anche i medici della Libera Associazione Italiana Ginecologi per l'applicazione della legge 194 (Laiga), che, infatti, tra le loro finalità si prefiggono legittimamente di ottenere un aumento dei giorni di ferie e più retribuzione per i loro associati.
L'aborto chirurgico o farmacologico richiede conoscenze mediche ma non è un atto medico perché contravviene al giuramento di Ippocrate, per il quale ogni azione deve essere tesa soltanto a ristabilire una condizione di salute che non c'è. Dal punto di vista psicologico il medico si trova in una condizione di maggior contraddizione rispetto alla donna perché mentre lei non vuole il bambino che aspetta e nutre un sentimento negativo nei confronti della gravidanza, lo stesso non può dirsi per il medico che, dovrebbe, di sua mano, operare per la cessazione di una vita.
Quando si parla di aborto si tengono in considerazione la madre e il
figlio che non nascerà, chi deve applicare la legge 194 nella pratica è considerato un fornitore di servizi senza anima, quell'anima che invochiamo ogni volta che vorremmo una cura che prevede umanità.karenrubin67@hotmail.com
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