Tiziana Paolocci
nostro inviato a Macerata
«Innocent Oseghale iniziò a squartare la ragazza partendo da un piede. Lei cominciò a muoversi, a lamentarsi. Allora lui le diede la seconda coltellata. Pamela Mastropietro venne fatta a pezzi mentre era ancora viva». La seconda udienza del processo davanti alla Corte di Assise di Macerata per la morte della diciottenne romana il 30 gennaio 2018 si apre con un racconto dell'orrore che la mamma della vittima ascolta in silenzio, con gli occhi pieni di lacrime, sfidando con lo sguardo la «belva». A parlare è il collaboratore di giustizia Vincenzo Marino, un ex ndranghetista che in carcere sarebbe diventato confidente del ventinovenne nigeriano accusato di omicidio, vilipendio e occultamento di cadavere.
Ma la versione del supertestimone dell'accusa, l'unico pronto a giurare che Oseghale abbia ucciso Pamela, cozza contro il racconto fatto da Stefano Giardini e Stefano Rea, che in carcere ad Ascoli Piceno con lo straniero condividevano la cella numero 2 «sezione protetti». Marino, invece, era nella 1. E mentre il pm Giovanni Giorgi punta ad affibbiare al nigeriano anche la responsabilità dell'omicidio, i legali di Oseghale, Umberto Gramenzi e Simone Matraxia, sostengono che Marino parli per tornaconto personale, sperando di rientrare nel programma di protezione testimoni da cui è stato escluso. «Sono stato nel carcere di Ascoli dal 5 luglio al 13 agosto dice Marino -. La mia cella era attigua a quella di Oseghale. L'8 gli urlai cornuto, pezzo di merda, cosa hai fatto?. Lo chiamai macellaio. Poi un mio compaesano, Stefano Re, in cella con Oseghale, mi disse che voleva riappacificarsi. E durante le ore d'aria Oseghale mi parlò dell'incontro con Pamela nei giardini Diaz, dove lei chiese eroina. Lui aveva solo marijuana, contattò il connazionale Desmond Lucky». La droga venne pagata dalla diciottenne con una collanina. Nell'attesa dell'eroina Pamela avrebbe avuto un rapporto orale con Oseghale. Poi il trio andò nell'appartamento di via Spalato. «I nigeriani volevano un rapporto a tre spiega Marino ma quando Desmond si avvicinò lei lo respinse. La colpì con uno schiaffo. Lei cadde, batté la testa e Desmond se ne andò. Oseghale allora la rianimò con acqua e la spogliò per avere un rapporto sessuale. Lei si era ripresa, voleva andare via. Lui si oppose. Quando lei disse che lo avrebbe denunciato le diede una prima coltellata al fegato. Pamela cadde. Non si muoveva, perdeva sangue». Il nigeriano va ai giardini Diaz per cercare l'aiuto di un amico, poi torna a casa. «È convinto sia morta racconta Marino comincia a squartarla, iniziando da un piede, ma indicandomi nel racconto la gamba». La ragazza però si muove, si lamenta. Le da una seconda coltellata. Poi la seziona, la lava con la varechina. Nasconde il corpo in due trolley, per timore che la compagna Michela Pettinari il giorno dopo scopra non tanto l'omicidio quanto il rapporto sessuale.
Il timore che il nigeriano ha della compagna è l'unica cosa su cui coincide il racconto di Marino, con Giardini e Rea. «Marino prometteva favori a tutti spiega Giardini ma sono certo che Oseghale non si confidava con lui». Al massimo poté leggere alcune delle perizie che Oseghale aveva con sé. Giardini smonta il racconto di Marino. «La ragazza con il nigeriano ebbe un rapporto consenziente, poi si sentì male. Lui uscì e quando tornò dopo tre ore era morta per overdose. E preso dal panico la tagliò a pezzi».
Versione confermata anche da Re. C'è però una confidenza riferita da Marino che solo l'imputato avrebbe potuto dirgli: Pamela aveva nei sul seno e spalle. E ieri è stata messa agli atti una foto della diciottenne che mostra quei nei.
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